Stampa pagina

 

PAROLA E SEGNO

 

  Scrivere significa incidere con uno stilo una qualche materia molle e tale significato si trova nella radice di parole di moltissime lingue: to write, reissen, scribere, ktb in arabo. All’origine pittura e scrittura coincidevano. Esiste tuttora una semasiografia moderna: le frecce come indicazione simbolica e i simboli stradali, le convenzioni grafiche in matematica, logica e altre scienze, gli ideogrammi sub-linguistici nei fumetti.

  Tutti i grandi sistemi di scrittura (sumero, egizio, cinese) si sviluppavano in origine per immagini. Col passar del tempo le figure si schematizzarono sino ad una fase di forme lineari in cui è impossibile riconoscere che cosa volessero rappresentare, e ciò perché lo scrivere si è differenziato dalla pittura per evidenti ragioni pratiche di rapidità di esecuzione.

  Sette sono i sistemi di scrittura originali e completamente sviluppati:

a)  Sumero (3100 a.C.- 75 d.C.)

b)  Proto elamita (3000 -2200 a.C.)

c)  Proto indico (2200 a.C.)

d)  Cinese (1300 a.C. oggi)

e)  Egizio (3000 a.C. - 400 d.C.)

f)  Cretese (2000 a.C. -1200 a.C.)

g)  Ittita (1500 a.C.- 700 a.C.)

  La scrittura sumera era cuneiforme: incisioni sulla creta con uno stilo in forme regolari con poche tacche. Ogni segno significava una sillaba. La sumera era pertanto una scrittura sillabica.

  In Egitto la scrittura geroglifica era usata per essere esposta pubblicamente, ma non era la scrittura della vita quotidiana, che aveva due forme corsive, la ieratica e poi la demotica. Probabilmente sotto lo stimolo sumero, questa scrittura prese una forma logosillabica (word sillabic) ove però le vocali non erano indicate.

  Nella scrittura cinese le parole sono espresse con logosegni, ad ogni parola corrisponde un segno.

  I quattro sistemi di scrittura (sumero, egizio, ittita, cinese) sono caratterizzati da tre classi di segni:

I)    logogrammi, cioè segni corrispondenti a parole della lingua

II)   segni sillabici sviluppati dai logogrammi in base al principio del rebus per il quale

       sillabe identiche di parole diverse dovevano essere scritte con segni identici

III)  segni ausiliari come quelli di punteggiatura (ausilary marks)

  Le scritture semitiche occidentali derivano da quelle egizie (geroglifica, ieratica, demotica). Sono le scritture fenicia, palestinese, aramaica, araba meridionale, ugaritica, ebraica, etiope.

  Quello che fu un evento fondamentale nello sviluppo della scrittura è il cosiddetto “trasferimento fonetico” (phonetic transfer o rebus-forme) il cui principio consiste nell’associare parole di difficile scrittura a segni che assomigliano a queste parole nel suono e che sono facili da disegnare. Ad esempio in inglese mandate = uomo (man) + dattero (date); I saw = occhio (eye) + sega (saw); il nome proprio ‘Neilson’ = neil (ginocchio) + sun (sole).

  Furono i greci a passare dalla scrittura sillabica a quella alfabetica. La scrittura greca deriva da quella fenicia come indica il termine phoinikèia gràmmata. Il passaggio dal fenicio al greco, ovvero dal sistema sillabico a quello alfabetico, si ebbe quando i greci usarono come vocali quei segni, le cosiddette “matres lectionis”, che erano segni aventi funzione di vocali ma che i semiti usavano in modo irregolare e sporadico. Così dalla mater lectionis aleph (in fenicio lieve aspirazione) si ebbe ‘a’ di alfa, he nell’epsilon, waw nell’upsilon, yodh in iota, aym in omicron, het in eta. Infine i greci raddoppiarono l’omicron in omega e per avere il suono ‘u’ combinarono l’omicron con l’upsilon = ou come in francese.

  Storicamente il più vecchio sistema di scrittura è il sumero che si estende verso oriente influenzando il protoelamita e il protoindico della Valle dell’Indo. Di là probabilmente influenzò il sistema di scrittura cinese, che appare verso il 1300 a.C. all’epoca della dinastia Shang già completamente sviluppato, ciò che fa supporre un influsso esterno.

  Verso il 3000 a.C. il sistema di scrittura sumero influenzò quello egizio delle forme ieratiche e demotiche. A sua volta la scrittura egizia si espande verso l’Egeo influenzando le scritture semitiche occidentali, fra le quali il fenicio.

  La scrittura si è sviluppata secondo il cosiddetto principio di sviluppo unidirezionale, che è comune pure allo sviluppo della lingua, dell’arte, della religione, delle scienze e dell’economia. Così la scrittura deve passare attraverso le fasi della logografia, poi della sillabografia e dell’alfabetografia, secondo quest’ordine. Analogamente, nello sviluppo delle lingue, si passa dalla fase isolante monosillabica alla fase agglutinante, poi alla fase flessiva per ritornare circolarmente alla fase isolante. Si osservi l’evoluzione del cinese, originariamente isolante ed ora quasi agglutinante e la tendenza dell’inglese, originariamente flessivo, a svilupparsi ora nella direzione isolante.

  La scrittura è più conservatrice del linguaggio parlato ed ha una potente influenza nel frenare lo sviluppo naturale del linguaggio, vedasi la differenza tra lingue letterarie e lingue quotidiane.

  Anche se lo scopo principale della scrittura non è quello di produrre un effetto artistico, la calligrafia è talvolta così esasperata da trasformare la scrittura in decorazione come avviene nella scrittura ornamentale araba, bellissima ma difficile da leggere, o come in alcuni usi eccessivi della scrittura nella pubblicità. In ogni scrittura c’è la classe della scrittura formale assai curata per usi ufficiali, come lo era in fondo quella geroglifica egizia, e la corsiva abbreviata.

 

 

ICONISMO POETICO E SUE FIGURE

 

  La scrittura è il passaggio del linguaggio dal piano acustico a quello visivo. L’iconismo poetico nasce da una serie di relazioni tra lingua e disegno tramite la scrittura. Tra lingua e disegno si possono distinguere proprietà divergenti e proprietà comuni.

  Proprietà divergenti: il disegno si intende a livello ottico, la parola a livello orale; il disegno è composto da nessi spaziali, la parola da nessi temporali; il disegno si legge confrontando fattori spaziali senza percorsi coatti, la parola si legge tramite uno sviluppo regolato e continuo di relazioni in successioni ricorrenti.

  Sono proprietà comuni: la varietà quantitativa, continua o discreta, che permettono alla lingua di a) costituire segmenti di misura eguale (ripetizioni); b) di fissare collocazioni (correlazioni, parallelismi, chiasmi, enjambements); c) di permutare nel corpo dei segmenti maggiori le unità minori (l’ordine delle parole nella frase, delle subordinate nei periodi, dei fonemi nei morfemi eccetera ); d) nel disegno si può avere uno spazio compatto e uno segmentato.

  È la scrittura che mette in contatto lingua e disegno tramite le proprietà comuni ad entrambi i domini. La scrittura  è la trascrizione della lingua nelle unità minime, i fonemi, e si attua col tratteggio delle singole lettere, che può essere variato dallo spessore della linea, dal corpo del tracciato, dal colore con cui le linee sono tratteggiate. Queste marche non sono strettamente necessarie, ma arricchiscono la lingua scritta.

  L’atto dello scrivere è un fatto cinetico ma una volta scritta, la scrittura è immobile. Se letta, è percorsa dall’occhio come un treno percorre i binari, ridiventando cinetica.

  La spaziatura fra parola e parola e l’interpunzione, interrompendo la linea, ne fanno una quantità discreta, cui corrisponde la temporalità cadenzata, mentre alla quantità continua corrisponde la temporalità progressiva.

  Verba volant, scripta manent, la parola orale muore appena nata. La parola scritta impone un percorso obbligato, progressivo e orientato in una sola direzione, da sinistra a destra secondo la convenzione occidentale, ma nulla vieta altre direzioni, da destra a sinistra nella scrittura araba, dall’alto in basso o viceversa nella scrittura cinese o in diagonale o curvilinea.

  In teoria la linea scritta potrebbe protrarsi all’infinito, ma in realtà la linea è interrotta dalla misura del supporto che impone gli a capo.

  In rapporto all’oralità la linea dovrebbe possedere la stessa misura che ha la comunicazione orale, cioè prolungarsi sino alla conclusione del senso, una striscia di carta lunga quanto una frase, ma il supporto impone di allineare lo scritto ai margini del foglio. Altra infrazione alla misura linguistica naturale è la convenzione occidentale che impone di tracciare la linea dello scritto in orizzontale e da sinistra a destra.

  Più linee orizzontali e parallele compongono una superficie rettangolare oscura su supporto chiaro.

  Prescindendo dalla compiutezza del senso e dalle possibilità del fiato nella dizione orale, la lingua può essere misurata anche da unità ritmiche (metriche): versi, frasi ritmate ecc.

  Nella trascrizione dei versi vale l’uso di non smarginarli a destra invece di tagliarli come nella prosa, e di evidenziare le strofe con spazi bianchi orizzontali. Ma si può cambiare l’asse marginale di sinistra con allineamenti secondo altri assi, ad esempio con asse centrale ad epigrafe. Se il corpo grafico, superficie oscura su supporto chiaro, viene smarginato secondo certi criteri, si può delineare il profilo di un oggetto ed è il metodo usato per creare  i “paegnia” alessandrini, poi detti carmina figurata.

  Le inadempienze della scrittura verso la lingua permettono il farsi della poesia iconica. Leggere la poesia figurata significa unire due atti di comprensione distinti e diversi, la lettura linguistica ostacolata perché costretta a seguire linee di scrittura in più direzioni e spesso discontinue, e quella iconica,. Tra l’una e l’altra serie di letture potrà esserci un rapporto di coincidenza o di opposizione oppure di estraneità, di giustapposizione. Capire ciò che si legge e interpretare una figura e ancora ascoltare mentalmente l’operazione fonica del messaggio verbale, sono operazioni che vanno integrate. Il lettore deve partire dalla figura per giungere al significato tramite il significante.

  Esistono due specie di poesia figurata: una si riferisce alle proprietà della lingua che non sono rappresentate dalla scrittura, l’altra si riferisce alle proprietà iconiche della scrittura, che non rappresentano nulla della lingua.

 

  Passiamo ora all’analisi delle più tipiche figure della poesia iconica, o figurata o visuale tra quelle contenute nel glossario.

Per ciò che riguarda la trascrizione:

I) in riferimento alla linea retta orizzontale parallela, dalla trascrizione trasgressiva  nasce    il calligramma ove i contorni di un disegno sono rappresentati anziché dal  tratteggio, da una linea di testo scritto

II) in riferimento all’allineamento delle unità linguistiche sopra segmentali, dalla trascrizione trasgressiva nascono il paegnion alessandrino e poi rinascimentale e barocco, il carme cubico, il carme quadrato, il quadrato magico SATOR, le colonne parallele di Rabelais, le tavole parolibere futuriste, le cifre eroiche.

 

Per ciò che riguarda il tratteggio:

Adottando una proprietà del tratteggio (colore, spessore o corpo della linea ecc.) si hanno queste figure iconiche: l’acrostico, i versus intexti, il carme alfabetico, il notarico, il cronogramma

 

Per ciò che riguarda il disegno:

Come mezzo di trascrizione linguistica, si hanno il geroglifico, l’emblema, l’impresa, il rebus: se il disegno si riferisce al significante linguistico, il rebus; se si riferisce al significato linguistico, il geroglifico; se disegno e lingua non si sovrappongono ma si giustappongono, l’emblema e l’impresa.

 

Per ciò che riguarda il supporto:

Il supporto può giocare un ruolo nella poesia figurata se questo è cartaceo o di altra materia, se la superficie è liscia o ruvida o spezzata, se è curva ecc; ne nascono diverse possibilità di figurazione, sino a giungere ai corpi di poesia se il supporto è tridimensionale.

 

  Dalla distribuzione degli elementi linguistici nascono:

I)                   distribuzione di fonemi ovvero rime interne (rimalmezzo, bisticcio), iper rime, il pantogramma, l’AEIOU

II)                permutazioni: lo spostamento delle lettere  entro la misura fissa di un monema, dà l’anagramma; lo spostamento dei monemi entro la misura fissa di un verso, dà il proteo e l’anarema; lo spostamento dei versi entro la misura strofica dà i carmi permutazionali e i versi intercambiabili

III)             la distribuzione dei vocaboli considerati nella loro funzione sintattica, dà la rapportatio

IV)             la distribuzione di vocaboli come pura enumerazione, dà lo schema additivo che è l’enumerazione dei vocaboli in tutto il corpo testuale e la loro ripetizione mantenendone lo stesso ordine enumerativo

V)                la distribuzione di vocaboli in base alla loro corporatura fisica, dà i versi ropalici o fistulares

VI)             versi reticolati ovvero disposizione dei vocaboli ad incastro con possibilità di percorsi diversi di lettura, figura questa estremamente sofisticata

 

Schemi verbali mobili a doppio percorso:

Ove la lettura può essere a doppio senso, recto e contrario, purché abbia sempre un significato. Allora dà origine alle seguenti figure: palindromo, versi cancrini, anamorfosi alfabetiche, versi ricorrenti o anacicli, strofe retrograde.

 

 

  Ci sono artifici direttamente iconici (calligrammi paegnia, versus intexti, palindromi, versi retrogradi, anacicli, anagrammi, protei, versi reticolati, versi permutabili, versi labirintici, versi concordanti, acrostici, allitterazioni per l’occhio, rapportazioni, chiasmi) e artifici fonici e iconici solo in determinate occasioni.

  In tutti questi artifici il senso che ne scaturisce va oltre il senso comune, in direzione di un allentamento dei nessi sintattici, ma è proprio questa la qualità specifica del discorso poetico, decomporre e ricomporre l’entità linguistica.

  Le figure artificiose possono obbedire al criterio della regolamentazione eccessiva (vedi i versi reticolati) oppure a quello contrario del disordine sino a giungere all’abolizione della lingua (vedi voce la parola assente) oppure alla formazione di nuove lingue astratte, vedi esempi da Rabelais a Morgenstern e Scheerbart, da Molière alla poesia fonetica dada, alla onomalingua futurista di Balla e Depero, alla glossolalia dei pentecostali e degli sciamani. Col che si entra nel dominio della poesia sonora.

 

 

LA STRUMENTAZIONE DEL SUONO VERBALE

 

 

  Nell’oralità si possono distinguere due fasi, l’esecutiva e la compositiva. Nella fase esecutiva abbiamo la lettura recto tono in uso nei monasteri o seguendo i modi ripetitivi della preghiera vocale; poi la declamazione dei futuristi (vedi il manifesto “La declamazione dinamica  sinottica”, 1916, di Marinetti) e in seguito quella dada (Cabaret Voltaire), e lo zaum orale (linguaggio transmentale) dei russi V. Chlebnikov, Krucenych, Iliazd.

Per quanto riguarda l’interpretazione dei vari modi espressivi dell’oralità in poesia, rimandiamo alla voce poesia e musica nel glossario.

  Nella fase compositiva si assiste, soprattutto nelle avanguardie, alla tendenza ad astrarre i rapporti che i suoni intrattengono fra di loro, cioè a costruire una strumentazione fonica diversa da quella del senso verbale, distinguendo i rapporti che i suoni dei fonemi o delle combinazioni fonematiche trattengono fra di loro, da quelli che le combinazioni foniche instaurano con i significati che veicolano. Si studiano le figure del significante ovvero le onomatopee primarie e secondarie, le connessioni fra suoni e significati, l’autosuggestione nell’uso delle sostanze sonore della lingua, gli effetti di senso legati ai ritmi eccetera.

  Una strumentazione fonica autonoma rispetto al senso che vi è connesso, presuppone: 1) che il suono linguistico abbia una sua qualità propria (molle, dura, squillante, profonda) che può essere assunta di per sé stessa, senza funzioni rappresentative; 2) che ciò valga per le serie che risultano dalle combinazioni di quei suoni.

  La strumentazione fonica ‘eccessiva’ può darsi entro i confini d’una lingua costituita oppure riferirsi alle qualità acustiche delle lingue immaginarie (v.) ove si fa appello a un simbolismo puramente fonico, legato ad attività quali la magia, la mistica, l’utopia, donde nascono le formule magiche segrete, la glossolalia, le speculazioni sulla lingua originaria prebabelica, oppure si imitano lingue straniere nella sola veste sonora ed è il grammelot, oppure ancora la deformazione programmata del linguaggio per intenti espressivi (Rabelais, Lewis Carrol, Joyce, avanguardie).

  Elenchiamo le risorse più vistose:

a) uso di suoni non esistenti in una determinata lingua (Lettrismo)

b) combinazione di suoni ammessi in una lingua, ma riuniti in modo da formare vocaboli inediti come le parole sequipedali.

c) onomatopee intensificate come il rumorismo futurista di Marinetti e l’onomalingua di Balla e Depero e il simultaneismo francese (Barzun, Divoire, Voirol).

d) composti linguistici che nascono dal conglobare frammenti di vocaboli esistenti nelle lingue costituite ovvero unione di radici con suffissi e prefissi o di radice con altra radice come nello zaum di Chlebnikov; l’unione può farsi anche tra frammenti di lingue diverse ed allora abbiamo il maccheronico e il polifilesco.

e) uso intensivo di vocaboli dal suono raro o curioso, che riuniti in massa, producono effetti inediti, ad esempio versi composti solo da monosillabi o solo da vocaboli sdruccioli oppure tutti giocati sulle allitterazioni o sulla sovrabbondanza di rime (iper-rima).

f) uso intensivo della paronomasia, figura basilare nel dominio della pura fonia verbale: filastrocche paronomastiche, calembours, concettismo, agudezze eccetera.

 

 
<   Ο   >