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GLOSSARIO

 

N O P Q R S

 

 

 

iconografia

 

 

 

notarico

Combinazione ottenuta sommando le lettere iniziali di ognuno dei vocaboli che compongono la frase, purché letti orizzontalmente. Si può definire un acrostico orizzontale. Notissimo il notarico in greco: Ichtus = Iesus Christos Theos Uios Soter, ovvero Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore. Vedi anche: acrostico.

 

 

onomalingua

Voce inventata da Fortunato Depero, da un suo manifesto del 1916: “Verbalizzazione astratta, è derivata dalla onomatopea, dal rumorismo, dalla brutalità delle parole in libertà futuriste. È il linguaggio delle forze naturali: vento-pioggia-mare-fiume-ruscello ecc. e degli esseri artificiali rumoreggianti creati dagli uomini: biciclette, tram, treni, automobili e tutte le macchine, è l’assieme delle emozioni e delle sensazioni espresse con il linguaggio più rudimentale e più efficace… Nei monologhi dei clowns e dei comici di varietà vi sono tipici accenni all’onomalingua… con l’onomalingua si può parlare e intendersi efficacemente con gli elementi dell’universo, con gli animali e con le macchine. L’onomalingua è un linguaggio poetico di comprensione universale per il quale non sono necessari traduttori”. Vedi anche: lingua immaginaria, grammelot, glossolalìa.

Figure 95 e 96

 

 

onomatopea

(che consuona)

Le onomatopee possono riprodurre i suoni della natura e delle macchine in una specie di discorso diretto e in tal caso la lingua si annette formazioni verbali non esistenti nel corpo lessicale che la compone. Oppure possono suscitare sensazioni uditive simili a quelle naturali o meccaniche e ciò mediante combinazioni fonetiche analoghe ai suoni che si vogliono imitare e in questo caso si scelgono formazioni lessicali già esistenti per riferirle a suoni extralinguistici.

Esempi del primo caso l’imitazione dei gorgheggi degli uccelli tipo “cip cip – tirelire – chicchirichì” o “crash” per uno scontro o il vocabolo sesquipedale creato da Joyce per evocare il tuono in Finnegans Wake (v. mot-valises) e innumerevoli altri da Aristofane fino a Pascoli.

Esempi del secondo caso il madrigale del Tasso “Sovra le verdi chiome” che fa cantare gli uccelli “quivi quivi” o del Poliziano la scena di caccia: “ogni varco da lacci e can chiuso era; / di stormir, d’abbaiar cresce il rumore; / di fischi e bussi tutto il bosco suona; / del rimbombar de’ corni il ciel rintrona”. Qui il poeta si vale di parole che sono di per sé onomatopeiche.

L’onomatopea diventa figura artificiosa quando si prolunga per intieri segmenti linguistici e il risultato allora si avvicina a quello delle lingue artificiali o immaginarie. In area germanica, nel periodo barocco e nel genere bucolico, si sperimentarono tutte le possibilità del fonetismo tedesco sino a sfiorare il territorio della non-lingua. Nel seicento italiano è da ricordare il canto dell’usignolo nella “Hilarotragoedia satyropastoralis” di M. Bettini (1614) e poi nel Pascoli l’onomatopea di “Nozze” in Myricae.

Nella poesia d’avanguardia, l’onomatopea diventa, con le parole in libertà futuriste, uno degli stilemi più usati, ripreso dall’olandese Theo van Doesburg per esempio in “Sfilata di truppe” (1916). Nel secondo dopoguerra segnalo “Trincea” (1966) dell’austriaco Ernst Jandl, “glasslass” dell’americano Dick Higgins, gli spiritosi “Dubbi esistenziali di un’oca francese” di Paolo Albani.

Figure 97-100

 

 

open composition

Detta pure “Composition by field”. Forma proposta da Ezra Pound – è la forma dei “Cantos” – consistente nell’accostamento di oggetti ed eventi onde creare una costellazione di significati tra di loro disposti a collage. Ne deriva una sintassi per giustapposizione, paratattica, asindetica entro la quale il poeta deve operare una strategia mimetica che non permetta una descrizione statica perché siano evidenziate le relazioni di comunicazione tramite un linguaggio che si fa presentazionale anziché descrittivo. Tipiche le forme con cui sono costruiti i poemi “The Waste Land” di Eliot e “Hugh Selwing Mauberley” di Pound. Una struttura analoga e a nostro avviso influente sulla stessa “Composition by field” era stata inugurata nel 1913 da Blaise Cendrars nella “Prose de Transsibérien et de la petite Jehanne de France” quale collage di situazioni liriche a sua volta derivato dalla tecnica cinematografica del montaggio (Griffith) di cui Cendrars era un buon conoscitore.

 

 

orazione per respiro, lettura recto tono

Modi ripetitivi della preghiera ad alta voce. La prima proposta da Ignazio de Loyola, la seconda in uso nei conventi durante le orazioni. Sono forme analoghe alla recita del rosario che è un modo teso a creare una situazione psichica di autosuggestione ipnotica.

Dell’orazione per respiro, così scrive de Loyola negli “Exercitia spiritualia”: “Ad ogni soffio di respiro si pregherà mentalmente dicendo una parola del Pater Noster o di altra preghiera, in modo che non si dica che una parola fra un respiro e l’altro. Nell’intervallo fra un respiro e l’altro, concentrare lo sguardo sul senso della parola o sulla persona cui s’indirizza la preghiera… Chi volesse fermarsi più a lungo sulla preghiera ritmica, può recitare tutte le preghiere… seguendo la stessa pratica della respirazione ritmata”.

 

 

orfismo poetico

vedi: simultaneismo, poesia sonora

 

 

ossimoro

(acuto sotto un’apparenza di stupidità)

Procedimento retorico che consiste nel riunire due termini contraddittori il cui raggruppamento può essere interpretato metaforicamente. Es.: silenzio eloquente; ghiaccio bollente; amaro amore; vital morte; ire vezzose.

 

 

oulipo

Forma contratta di “Ouvroir de Littérature Potentielle”, gruppo di scrittori composto da Raymond Queneau, François Le Lionnais, Jacques Bens, Jean Lescure e Jean Queval e poi in seguito Jacques Roubaud, Georges Perec e Italo Calvino. Fondamentale per Oulipo è il  principio del ‘potenziale’, secondo cui la creazione letteraria sarà tanto più inventiva quanto più stringenti sono i vincoli, spesso di natura matematica che pone a se stessa (un esempio classico di letteratura potenziale è indicato nel sonetto). Il gruppo si è quindi impegnato a proporre nuove modalità di creare letteratura tramite vincoli imposti ai propri materiali o regole di trasformazione da applicare a materiale esistente. L’Oulipo rivaluta il gioco letterario nella sua gratuita artificiosità. Roger Caillois in “Les jeux et les hommes” (1958) descrive le quattro pulsioni fondamentali nel gioco: l’impulso alla competizione regolata (agon), l’impulso ad abbandonarsi al verdetto del caso (alea), l’impulso alla simulazione e al travestimento (mimicry), la lusinga della vertigine e della perdita di sé (ilinx).

Forme letterarie dell’agon, le sfide agli enigmi (mito della Sfinge), le tenzoni poetiche, le improvvisazioni in ottave in Toscana, l’albaréa gallurese, i giochi come la sciarada (indovinare una parola essendone stata indicata una delle parti in cui essa può venire scomposta) e il suo affine, il rebus o il quiz televisivo.

Il caso interviene in letteratura con il collage dada (T. Tzara), coi cadaveri squisiti surrealisti e nella letteratura combinatoria dalla cabala al progetto del “livre” di Mallarmé, alle macchine per produrre proposizioni e aforismi (J. Swift), agli attuali ipertesti. Il percorso dal senso al caos può concludersi con un ritorno al senso, ossia con il tentativo di interpretare la distribuzione caotica ottenuta: è quanto si verifica nella composizione di anagrammi: le lettere di una parola vengono distribuite caoticamente e ricomposte per formarne una diversa (Licofrone, sec. III a.C.). Un metodo analogo è quello proposto dall’americano Jackson MacLow, allievo del musicista John Cage, basto sulla scelta di una serie arbitraria di regole atte a coordinare l’assunzione del materiale lessicale (“I pronomi, raccolta di 40 danze”, 1964, pubblicati e tradotti su “Antipiugiù” n° 4, 1964).

La mimicry sconfina nella dissimulazione e nell’ironia e include i travestimenti figurativi del linguaggio nei carmi figurati ( i paegnia alessandrini), i calligrammi (Apollinaire), le tavole parolibere futuriste, le imprese (Accademia della Crusca), gli emblemi (Alciati), i rebus (Leonardo da Vinci), i mot-valises di Joyce e altri.

L’ilix è la ricerca della vertigine, della perturbazione della percezione: ovvero il nonsenso come i paradossi di Carroll, il limerick di Lear, le filastrocche paronomastiche, gli aforismi (K. Kraus), gli elenchi caotici (Gadda), la poesia burchiellesca, la “mise en abime” (Gide, Perec), il teatro dell’assurdo (Jonesco, Beckett, Adamov, Tardieu): un capogiro della logica che è riassunto nel classico paradosso greco: “Tutti i cretesi mentono. Io sono un cretese”.

 

paegnion

(gioco fanciullesco)

Da non confondere col technopaegnion, nome dato da D. M. Ausonio per i suo esperimenti di anadiplosi (v. technopaegnion). Il paegnion è una forma di poesia composta da versi di diversa lunghezza, sovrapposti in modo da ottenere il contorno di una figura ritagliato sullo sfondo di un supporto. Talora le linee dei versi si curvano a tracciare il profilo della figura voluta. Fu inaugurato nel periodo alessandrino da Simia di Rodi e altri autori greci, poi all’epoca di Costantino ripreso da Optaziano Porfirio e rifiorito nel periodo barocco sia in Italia che in Europa..

Figure 101-103

 

 

 

pangrammatico, carme o verso

(pure, vocalico)

Carme che contiene tutte le lettere dell’alfabeto. Di Pascasio di S. Giovanni (Poesis artificiosa, 1674): “Vix Phlegeton Zephiri queres modo flabra Mycillo”. Vedi pure: carme vocalico e AEIOU.

 

paragòge

(aggiunta)

Figura grammaticale usata dai poeti che consiste nell’aggiungere una sillaba alla fine di una parola. “Fue” per “fu”, “die” per “dì”. È detta pure “epìtesi”.

 

 

paralleli, versi

vedi, rapportatio

 

 

parallelismo o corrispondenza

Figura retorica consistente nella ripetizione dello stesso concetto in due forme diverse, o di due versi aventi la stessa struttura. Es.: “sol nel passato è il bello, sol nella morte è il vero”.

 

 

parola assente

Nella rete delle ricerche sulla parola visualizzata è possibile trovare forme di assenza della parola. Nel “Tristram Shandy” Laurence Sterne ricorre talvolta ad eccentriche soluzioni. Nel capitolo 12 libro I, un rettangolo nero esaurisce la pagina qual pietra tombale; altrove spazi bianchi si aprono nel dettato quali segni censurati; nel cap. 40 libro VI, compaiono cinque linee a zig zag che l’autore afferma indicare il movimento descrittivo dei libri precedenti. Alla fine del cap. 4 libro IX, una linea verticale a curve serpentine varrebbe, a detta dell’autore, più di mille sillogismi a favore del celibato. Uno splendido esempio di poesia muta è il “Fisches Nachtgesang” (Canto notturno del pesce, Galgenlieder, 1905), di Christian Morgenstern: le parole sono sostituite dallo schema metrico  quantitativo a brevi e lunghe, creando un modello di visualizzazione dell’elemento temporale dentro la gabbia spaziale.

Un vistoso caso di sottrazione del testo è “Successivement” di Marinetti (in “Nuovi poeti futuristi”, 1925) ove parole o brevi frasi distanziate paiono formare un discorso incoerente mentre traducono in successione temporale la descrizione ‘sottratta’ di un tramonto estivo sul mare.

Nel 1924 Man Ray verga una “Lautgedicht” (poesia sonora) fatta cancellando accuratamente  con pennarello le parole d’un poema stampato sulla pagina.

Nanni Balestrini ha composto vari testi lacunosi fatti di sintagmi trattati come oggetti verbali materiali.

Dell’austriaco Heinz Gappmayr abbiamo un testo intieramente ricoperto da un quadrato nero; solo in alto a sinistra compare, tagliato a metà dal nero, il suffisso ‘ver’ che in tedesco si aggiunge a verbi, nomi, aggettivi per indicare un senso di perdita o di rimozione.

Figure da 105 a 112

 

 

parole in libertà, tavole parolibere

Nel “Manifesto tecnico della letteratura futurista” (1910) Marinetti indicò come specifico mezzo di espressione letteraria le “parole in libertà”, le sole in grado di tradurre, per analogia e suggestione, i meccanismi psichici e la frenesia della vita moderna. Nelle parole in libertà sono abolite la sintassi, la punteggiatura e le parti qualificative del discorso (aggettivi, avverbi) sono collocate in gruppi e poste tra parentesi. Oltre a ciò le parole in libertà tendono ad assumere una forma di pura mimica fonica perché trascritte in ortografia libera espressiva ove il tratteggio mette in rilievo le marche del significante che nella scrittura normale sono tracurate, come il timbro, il tono, l’altezza e la durata dei singoli suoni del messaggio, sì che la pagina futurista si presenta come uno spartito sui generis di qualità optofonica ove si stabilisce un continuo circuito tra oralità e scrittura in una lettura fatta saltando in vera libertà. Il grande poema marinettiano “Zang Tumb Tuum” (1914) è composto tipograficamente in diversi caratteri e corpi che una attenta regia rende in forma di balletto grafico mimante il concitato parlato del testo che si presenta come una prosa magmatica in puro divenire. In questo stile sono composte molte altre opere di autori futuristi, da “Rarefazioni e parole in libertà” di Corrado Govoni (1915) a “L’ellisse e la spirale” di Paolo Buzzi (1915), da “Il fuoco delle piramidi” di Nelson Morpurgo (1923) a “Depero Futurista” esemplare librogetto di F. Depero. In particolare è splendidamente riuscito “Piedigrotta” di Francesco Cangiullo (1916) che è una ininterrotta sorpresa visuale dove la grafica esplode in pirotecnici fonemi rispecchianti la festa partenopea. Già in queste pagine le parole in libertà tendono ad organizzarsi in calcolate strutture verbotettoniche che poi saranno le Tavole Parolibere.

Figure da 113 a 116

 

 

paronomàsia

(suono simile)

Figura retorica fondata sulla somiglianza di suono di due parole di significato diverso. Per ottenere effetti speciali il poeta pone vicino parole assonanti: “un amore amaro” “vista la svista?” “non aver arte né parte”. Filastrocche paranomastiche sono le poesie di Toti Scialoja (“Versi del senso perso”, 1989): “in una camera senza porte né finestre / avanza una scolopendra e fa una danza triste”; oppure: “con il verme di Viterbo / venerdì venni a diverbio”; oppure ancora , da A. Campanile: “il tenore fa le scale / per le scale della Scala”. La paronomasia può essere di due specie: “apofonica” se la differenza è nella vocale tonica dei suoi membri (care-cure-core, ardore-ardire) o “isofonica” se muta una vocale non tonica o una consonante (tempo-tempio, alto-almo, luce-lume). La paronomasia apofonica crea il calembour, il concetto, l’agudeza. Quella isofonica agisce invee sulla forma: “Ed algendo ed ardendo / amor s’acquista” (G. Imperiale) ove l’opposizione semantica è in contrasto colla consonanza fonica.

Figura 117

 

 

perifrasi

(giro di parole)

Figura retorica di pensiero che consiste in un giro di parole usato per indicare un concetto che potrebbe essere espresso con un minor numero di vocaboli o anche con un vocabolo solo. “l’onor del mento” (la barba); “il re della foresta” (il leone).

 

 

permutazione

Caramuel de Lobkowitz (1606-1682), ecclesiastico di origine ispanica, pubblicò una imponente opera, “Primus calamus ob oculos ponens metametricam…” (1663), poi seguita da “Primus calamus tomus II…” (1668) interamente dedicato alla poesia figurata e alle esperienze di poesia artificiosa. L’interesse principale dell’autore, a parte la poderosa documentazione del materiale, fu non tanto quello di creare poemi, quanto di studiare congegni che permutando i componenti del discorso fabbricassero automaticamente una serie di oggetti poetici in una specie di oulipo barocco. Ad esempio, ecco un “cubus metametricus” ovvero una gabbia di fili di ferro atta a ospitare un carme intercambiabile. Caramuel pensava quasi cabalisticamente di poter ricreare l’universo partendo dalla parola (un suo contemporaneo, Athanasius Kircher, lasciò presso il Museo kircheriano nel collegio romano del Vaticano, imponenti raccolte dello scibile umano in una forma di protoenciclopedia).

Il modello matematico su cui si appoggia questa idea di ricostruzione cosmica è la permutazione, uno degli ordinamenti totali che si possono dare a un insieme di n elementi. L’applicazione di tale metodo in arte risale a ben prima, e cioè all’arte dei musicisti franco-fiamminghi del Quattrocento coi quali si affermò la tecnica contrappuntistica polifonica. Altro esempio precedente si ebbe nel Cinquecento con la musica di campane, con tavole permutazionali che ci offrono il numero di possibili cambi di campane in base a diversi insiemi, ove, ad esempio, col numero di dodici campane, abbiamo la possibilità di 479.001.600 cambi diversi per un tempo di 37 anni e 355 giorni.

Una forma moderna di applicazione alla letteratura della permutazione fu inaugurata da Gertrude Stein nelle sue poesie e proseguita dall’inglese Brion Gysin col suo bellissimo poema sonoro “I am that I am” (1958).

Figure 118-121

 

 

plastic-poem

Fotogrammi di oggetti o di carte realizzati dal giapponese Kitasono Katuè e pubblicati sulla sua rivista “Vou” (1960). Presentano analogie con la “poesia evidente” di Jiri Kolar e con molte “metafore oggettistiche” del catalano J. Brossa.

Figure 122 e 123

 

 

plaustrale, carme (maggiore)

vedi: sesquipedale

 

 

pleonasmo

(superfluo)

Figura grammaticale consistente nell’usare una o più parole che non sono necessarie al senso di una proposizione. Es.: “Tu te ne lavi le mani, tu!”; “è più cattivo di quel che non si creda”.

 

poema preciso

Nel 1932 F. T. Marinetti pubblica presso Tullio d’Albisola la ‘litolatta’ “Parole in libertà olfattive tattili termiche” realizzate a colori su fogli di latta. Alcuni poemi anticipano la futura poesia concreta e sono quelle che l’autore chiama “poemi precisi”, dove Marinetti dall’anarchia ditirambica delle prima parole in libertà passa ad un calcolato equilibrio verbo-visuale che influirà sulla visualità verbale dei “testi-poemi murali” (1944) di Carlo Belloli.

Figura 126

 

 

poème mécanique

In inglese “type-poem” e in italiano dattilogramma. Il poème mécanique fu proposto da Pierre Garnier sulla rivista “Les Lettres” (1964).

 

 

poemi in cemento armato

Creati dal russo Vasilij Kamenskij nel 1914: il testo è sezionato in tante superfici triangolari e trapezoidali e poi ricomposto giustapponendole in una architettura della parola.

Figure 124 e 125

 

 

poesia e musica

Il rapporto tra poesia e musica rinvia alla complessità delle relazioni che intercorrono tra parola, vocalità e suono da un lato e tra musica e linguaggio dall’altro.

Per gli Elleni la poesia era una realtà al contempo linguistica e musicale, era techne mousiké oltremodo agevolata dalla musicalità immanente della metrica quantitativa di sillabe brevi e lunghe, ciò che portava inevitabilmente a salmodiare la dizione del verso per evidenziarne la quantità, il che era già musica di per sé. L’accompagnamento era costituito dalla kithàra (cetra) per la poesia epica monodica, dal flauto per l’elegìa, dal bàrbitos (una specie di cetra) per gli scolii (carmi conviviali ed epitalami nuziali), dall’aulòs (un tipo di flauto) per i ditirambi e i cori della tragedia.

Pure nell’antica civiltà ebraica esisteva uno stretto rapporto tra poesia e musica considerando l’aura sacrale che circondava la ‘parola’. Nella liturgia del tempio il canto sacro era di due tipi: la cantillazione, una declamazione intonata della prosa biblica basata su un sistema di accenti, e la salmodìa, intonazione di salmi in cui una nota centrale viene ripetuta e brevi fioriture sottolineano le svolte sintattiche del versetto.

Dal IV secolo d.C. si sviluppa l’innografia bizantina con le forme del contacio (omelia lirico-drammatica a struttura di inno diviso in stanze uguali fra di loro; ma la metrica è ormai accentuativa) e del cànone, sviluppo del contacio, composto da una sequenza di inni (odi), diversi per metro e melodia, con due o più strofe modellate su una strofa chiave (irmo).

In Occidente cambia a poco a poco il rapporto musica-poesia rispetto alla tradizione antica in quanto si preferisce ricercare principi autonomi di coerenza musicale, che non era più soggetta alla metrica quantitativa: si ha il tropo (interpolazione poetico-musicale del canto sacro) e la sequenza (vocalizzo alleluistico reso autonomo): famose le sequenze di Jacopone da Todi (“Stabat Mater”) e di Tommaso da Celano (“Dies irae”).

Monodica è la poesia profana dei trovatori provenzali, anche se buona parte dell’accompagnamento musicale è andata perduta. La musica aderiva al testo e poneva in risalto gli artifici della versificazione. Le forme più comuni erano il sirventese (da sirven, cortigiano) su materie non amorose, l’enuef (noia) su cose fastidiose, il plazer su cose piacevoli, l’aube (tema dell’alba e della separazione degli amanti), il plenh (lamento) e le forme dialogiche del contrasto (disputa in versi su temi opposti), del tenso (tenzone), della pastourelle più altre forme dei trovieri del nord Francia come il rondeau (di carattere amoroso, col ritorno del refrain), la ballata, destinata al canto e alla danza, il lai e il virelai, il tedesco Minnesang, canto celebrante la Minne, cioè l’amore, nei sottogeneri del Lied (canzone d’amore a più strofe), il Leich (canzone amorosa conviviale), lo Spruch (monostrofica e sentenziosa).

Dal XIII secolo si ha il grandioso fenomeno della emancipazione della musica con lo sviluppo della polifonia nell’ars antiqua e nell’ars nova (1150 e 1300 compreso): la musica ricerca principi di organizzazione metrica del tempo musicale non più legati alla lineare discorsività del testo verbale e sono le grandi costruzioni dei polifonisti franco-fiamminghi dei secoli XV-XVI: d’altro canto la poesia si avviava a diventare un genere puramente letterario ove la musicalità sarà assorbita dall’armonia sonora del verso: la poesia di Dante, Petrarca, Poliziano, Pulci, Ariosto.

Col madrigale di fine Cinquecento-primo Seicento si ha una forma musicale polifonica a struttura continua che canta poesia posta in musica in una sofisticata ‘pittura sonora’ (madrigali di Gesualdo da Venosa e di Monteverdi). È l’epoca del “recitar cantando” teorizzato dalla camerata fiorentina come nuovo realismo teatrale: è la nascita dell’opera e della poesia per musica, cioè del libretto (vedi la particolare musicalità dei versi del Metastasio), con la distinzione tra recitativo e aria.

Col romanticismo nell’Ottocento appare l’idea del Wort-Ton-Drama wagneriano di arte totale, ma nel contempo rifiorisce il Lied (Schubert) con testi tratti dagli autori contemporanei (Goethe, Schiller ecc.). Di ridotto valore è la produzione italiana di romanze (F. P. Tosti). Più interessante la chanson de variété francese, legata al caffè concerto e al cabaret parigino, all’operetta, al music hall e al primo cinema (R. Clair).

Alla fine dell’Ottocento col sorgere del simbolismo francese la poesia è vista come “strumentazione verbale” (R. Ghil), basata sull’utilizzo dell’intrinseca musicalità di vocali e consonanti: è uno sviluppo dello stile di Baudelaire che intende la specificità della poesia come perfezione musicale del verso ed esattezza matematica delle metafore. Nell’“Art poétique” (1874) Verlaine dichiara: “De la musique avant toute chose. Le rest est littérature” intendendo per musica quella della parola. Con Mallarmé si assiste a una condensazione del puro significante e siamo alle soglie della poesia sonora (v.). Il critico P. Zumthor parla della funzione dell’oralità e della presenza della voce (“Flatus vocis, metafisica e antropologia della voce”, 1992). D’altra parte nel campo della etnomusicologia e dell’antropologia culturale ci si avvede che il rapporto parola-musica si pone in termini diversi da cultura a cultura ed è condizionato dall’attitudine di ciascuna cultura verso la propria lingua, specie in quelle lingue che non conoscono una netta distinzione tra il parlare e il cantare. Così si può distinguere tra il livello delle unità fonetiche e prosodiche di base (intonazione delle sillabe, struttura fonica e dinamica delle parole, accentazione ecc.) e il livello delle unità strutturali maggiori (struttura metrica, articolazione fraseologica, versi ecc.)

Il primo caso si riferisce alle lingue “intonate” quali gli idiomi sino-tibetani e alcuni africani, dove il significato dei vocaboli dipende dall’altezza e dal tipo di intonazione con cui si pronunciano le sillabe, per cui il profilo melodico del canto viene ‘generato’ dalle parole del testo.

Nel secondo caso è interessante notare come la musica prenda in prestito dalla poesia vari principi di coerenza formale e figure sintattiche (verso, strofa, frase, periodo, incisi, ellissi ecc.) che è traccia della funzione di modello della poesia nei  confronti della musica, pur nella continua tensione della lingua a farsi suono e della musica ad assimilare l’espressione verbale. N. Ruwet ha sottolineato il fatto che sarebbe difficile immaginare uno sviluppo, fuori dall’integrazione fra i due sistemi, di molti costrutti formali: reiteratio, ritorno ciclico, le forme strofiche, il ritornello. Altri indizi ne troviamo nei nomi di forme poetiche provenienti dalla sfera del suono e del canto: lirica, elegia, ode, salmo, canzone, sonetto ecc., o della danza (coro, ballata, rondeau).

 

 

polifilesco, linguaggio

È il linguaggio con cui è stata scritta una celebre opera allegorica in prosa “Hypnerothomachia Poliphili” (1499) dell’umanista Francesco Colonna. L’opera è scritta in uno stile artificiale che ingloba i lessici delle tradizioni più diverse in una forma opulenta e mai paga di soluzioni combinatorie.

Figura 127

 

 

polisìndeto

(collegamento)

Figura grammaticale consistente nel ripetere la congiunzione davanti ad ogni elemento, frase o semplice parola che si vuol coordinare. Si ha quando si vogliono raggiungere speciali effetti nella narrazione, come quello di rilevare la quantità delle cose enumerate o il loro immediato susseguirsi. Es.: “passavano dinnanzi a noi i fanti e i cavalieri e gli aviatori e i marinai”; “facevano un gran chiasso: cantavano e ballavano e urlavano e litigavano”. È il contrario dell’asìndeto (v.).

 

 

preterizione

(omissione)

Figura retorica di sentimento che consiste nel fingere di non voler dire una certa cosa (un nome, un fatto, un’idea), parlandone però subito dopo in modo da metterla in evidenza. “Cesare taccio che per ogni piaggia / fece l’erbe sanguigne / di lor vene ove il nostro ferro mise” (Petrarca).

 

priamel dichtung

(da præ ambulum)

Poesia gnomica diffusa in Germania tra il 1100 e il 1500 e anche raccolta di componimenti e di sentenze sia moraleggianti sia satiriche o scherzose ascrivibili a tal genere. Il testo era diviso in due parti: il fail e il climax. Il fail introduceva e chiariva il tema enumerando un certo numero di situazioni attinenti al discorso; il climax ne dava la sentenza. Paradossalmente, ecco un esempio da Saffo: “Alcuni dicono che una schiera di cavalieri, altri di fanteria e altri di navi siano le più belle cose sulla nera terra, ma io dico ciò che una persona ama”. Più tardi il priamel fu influenzato dallo stile burchiellesco diffusosi in Germania (Kontrafakturen).

 

programma

vedi: anagramma

 

 

prolèssi

(prevenzione)

Figura retorica di sentimento che consiste nel rispondere anticipatamente a una prevista obiezione. Es.: “Bugie? La vedremo se son bugie!”. È pure figura grammaticale consistente nell’anticipare nella proposizione alcuni elementi mutando l’ordine naturale della frase (cioè la costruzione diretta), per porre in risalto alcuni termini piuttosto che altri. Es.: “Libri, dovevate regalargli, non giocattoli!”.

 

 

proparalèssi

vedi: paragòge

 

 

prosopopèa

(personificazione)

Da ‘presòpopo’, chi fa le maschere. Figura retorica di sentimento consistente nel dare vita e qualità umane a cose inanimate o ad una idea astratta o anche nel far parlare persone lontane o morte. Ad esempio il Monti, nella “Prosopopea di Pericle” immagina che la statua di Pericle parli dell’epoca di Pio VI. Altri esempi:  la gloria l’ha baciato; il vento carezzava le messi; il mare rapì i naufraghi.

 

 

proteo

Consiste in un ventaglio di vocaboli tutti ugulamente atti a costituire un messaggio linguistico coerente, ma che vanno letti in alternativa; i vocaboli si congiungono con legami sintattici diversi; i termini essendo sinonimi, o almeno omologhi, sono polivalenti per via della presenza di molti di genere neutro che possono fungere da soggetto e complemento oggetto, di aggettivi che possono fungere da sostantivi, di congiunzioni e avverbi polivalenti. Nel proteo che è il carme XXV di Porfirio Optaziano si hanno quattro versi di base le cui parole sono utilizzate tutte quante  in ordine diverso senza che nessuna compaia per ogni quartina più di una volta.

Figure 128 e 129

 

 

pròtesi

(anteposizione)

Figura grammaticale consistente nell’aggiunta di una lettera o sillaba in principio di parola per eufonia. Si aggiunge soprattutto la vocale ‘i’ detta in questo caso “i prostetica”, davanti a parole che incominciano son ‘s’ impura, quando la parola precedente termina per consonante. Es.: in Ispagna; per iscritto; in istrada.

 

 

quadrato, carme

È composto da un messaggio linguistico che non si esaurisce nella prima riga e che dev’essere completato, anche per un solo fonema, nella riga successiva e così via, determinando nel complesso del testo quadrato un effetto ottico diagonale di cinetismo virtuale.

 

quadrato magico, SATOR

SATOR è una delle formule forse magiche come mosaico di lettere, senz’altro la più conosciuta e diffusa. Composta da 25 lettere disposte nello spazio quadrato in modo tale che la frase palindroma “sator arepo tenel opera rotas” si può leggere partendo dai quattro angoli e procedendo in linea orizzontale, verticale, ascendente e discendente. Il testo base, di cinque parole, ciascuna di cinque lettere: “tenet” pur se letta al contrario mantiene lo stesso senso, è cioè una ‘parola gambero’; “sator”, letto al contrario dà “rotas” e “opera” dà “arepo”.

Graffiti di tale formula sono leggibili a Pompei sin dal 50, 70 d.C., e in seguito in molti altri luoghi. Le traduzioni della formula sono innumerevoli: “Arepo”, nome proprio del Sator o di un angelo “arepennis” colui che ara o “arripens”, colui che prende; “rotas” aratro, ruota di tortura, ruota del carro del sole, tempo del destino, universo; “sator” seminatore, salvatore, Saturno, dio creatore; “opera” accusativo plurale di ‘opus’ o ablativo singolare di ‘opera’; “tenet” trattiene; “sator omnia continet” = il seminatore tutto trattiene (filosofia stoica).

Dopo i due ritrovamenti di Pompei, che spostano il quadrato di Sator alla metà del I secolo d.C., non si può più partire dal presupposto di un’origine cristiana della formula o anche ebraica. Alcuni studiosi suppongono che il Sator non sia una frase semanticamente coerente. H. Hofmann è a favore di una genesi pagana di Sator, facendolo derivare dallo stoicismo (“sator omnia continet” è già documentato da Cicerone) come affermazione di dio che ha creato tutto e preserva sempre tutto, con collegamenti con il pitagorismo. Ma tale interpretazione urta contro diverse considerazioni. Una formula magico-superstiziosa non può essere ridotta a una enunciazione filosofica. La formula in realtà ha funzioni magiche e terapeutiche o apotropaiche, il che non esclude collegamenti con la cristianità, data la relazione fra magia e religiosità cristiana. Ad esempio Cristo può essere identificato con il Seminatore. Il quadrato di Sator possiede chiaramente anche una struttura translitterale che vi si sovrappone quasi in forma di carmen cancellatum (v. versus intexti): un acrostico + un mesostico + un telestico sino al pentacrostico. C’è pure una affinità del quadrato di Sator con lo schema delle parole crociate (Tabulæ iliacæ) così come con il cubo verbale. Altra affinità è con gli antichi papiri magici, ad esempio ellenici. Inoltre occorre considerare lo stretto collegamento strutturale del Sator coi quadrati magici dei numeri le cui cifre orizzontali, verticali o diagonali, sommate, danno lo stesso risultato.

Una nuova tesi di M. Marcovich intende “arepo” qual nome abbreviato del dio Harpokrates che nei papiri greci si chiama Arpos o Arpon e in latino Arpocra, un dio fallocratico della fecondità, il cui culto era diffuso a Pompei. Il latino “tenet” corrisponde al greco “kratèi” e allora “arepo tenet” diverrebbe Haro-Krates, avvicinando Sator ai papiri magici a forma di quadrato. Potrebbe anche darsi che interpretazioni così numerose e tanto diverse indichino una polivalenza strutturale corrispondente al sincretismo religioso dell’epoca, I secolo d.C.

Figure 130

 

 

quodlibet

(ciò che piace)

Dapprima questione di vario argomento discussa nelle università medievali anche su proposta degli ascoltatori. In seguito, in Germania, divenne un piccolo genere letterario sul tipo del nonsense inglese.

 

raddoppiamento

Figura retorica che consiste nel ripetere consecutivamente lo stesso vocabolo per ottenere un effetto più colorito. “Pane, pane! gridarono i presenti”, “a casa, a casa, è ora di andare”.

 

 

rapportatio

Artificio per cui i singoli elementi di più proposizioni coordinate vengono riuniti secondo la loro classe: cioè tutti i soggetti insieme, poi tutti i verbi e così via: “Non punse, arse, legò, stral, fiamma, laccio”. L’aspetto iconico non è particolarmente importante, mentre conta maggiormente la disposizione retorica. La rapportatio è figura decompositiva: la mente è obbligata a un doppio e opposto esercizio, l’uno che attribuisce più predicati a una sola circostanza, l’altro che di cose diverse ne fa un solo effetto.

Figura 131

 

 

rebus

(con le cose)

Il disegno può sostituire un intero vocabolo o una parte soltanto e in questo caso il framento non coperto dal disegno viene trascritto in lettere dell’alfabeto. Ma se tale vocabolo può essere scisso in due unità dotate di senso, allora è rappresentato da due disegni. Il rebus consiste nel vedere oparole nelle parole ed è paronomasia trascritta con mezzi iconici. Es.: “tormenta” = toro + ramo di menta; “ch’ardendo io chiami” = carro (ch’ar) + ‘dendo’ in lettere + due occhi (ochi) + due ami (ami); di Leonardo: “or so come” = orso + una chioma.

Figure 132-134

 

 

reciproca, figura

Consiste nell’accostamento di due parole e nello scambio immediato fra di loro. Es.: “In istam dicam mortalem vitam an mortem vitalem” (Sant’Agostino, “Confessioni”); “Libero lascivisce e pargoletto / e lieto pargoleggia e lascivetto” (G. Imperiale, “Stato rustico”, 1607)

 

reciproci, versi

vedi: ricorrenti, versi

 

 

recisi, versi

vedi: ecoici, versi

 

 

resverie

(incoerenza, in francese)

Successione di distici (sino a settanta) di 4, 7, 8 sillabe a ritmo sincopato di un testo a rottura di senso, definito das P. Zumthor “bout-rimé absurde”. Esempio: “Nus ne doit estre jolis / s’il n’a amie. / J’aim an tant crouste que mie / quant j’ai grant faim. / Tien ces cheval par le fraim / maleürens…”.

 

reticenza

Figura retorica consistente nel tacere qualcosa nel discorso, o per richiamare l’attenzione su ciò che è taciuto o per indicare una certa esitazione, un dubbio, una perplessità dell’autore. È indicata con i puntini di sospensione: “Lo può e potendolo… la coscienza… l’onore…” (Manzoni), ove è omesso “glielo impone”.

 

 

reticolati, versi

Figura degli schemi distributivi estremamente artificiosa, tanto che preferiamo spiegarla con un esempio (figura 135). Il componimento il cui primo verso conti ad esempio sei parole, sarà composto da sei versi; di queste sei parole, la prima sarà la prima parola del primo vers; la seconda, la prima del secondo verso e così via, e queste sei parole sono le sole non ripetute. Tutte le parole sono ripetute eccetto quelle che vengono a trovarsi sulla linea della diagonale, ma queste si uniscono a formare un verso diagonale. La figura offre la possibilità di percorsi diversi di lettura.

Figura 135

 

 

retrogradi, versi

Versi che si possono leggere al contrario: “gentile Lydia, sol leggiadra e bella / umana non, diva superna e degna, / Diana, al mondo virtuosa insegna, / signorile bellecia, unica stella”; “stella unica, bellecia signorile, / insegna virtuosa al mondo, Diana / degna e superna diva non umana / bella e leggiadra sol Lydia gentile” (Livio Catto, “Opuscola” , 1502 ).

 

 

ricorrenti, versi

Detti anche reciproci o anacicli. Combinazione di versi di natura diversa (per esempio un esametro e un pentametro) che, letta all’indietro, genera una struttura metrica uguale a quella di partenza. Per esempio il distico: “praecipiti modo quod decurrit tramite flumen / tempore consumptum iam cito deficiet” dà l’altro distico “deficiet cito iam consumptum tempore flumen / tramite decurrit quod modo praecipiti”. Luigi Groto, detto il Cieco d’Adria (1541-1585) cantò in un sonetto contemporaneamente l’amore felice e infelice a seconda che lo si legga recto o retrogrado “in un subdolo invito ai contrari” (G. Pozzi, “Poesia per gioco” 1984).

 

rima

Rima piana = saggio, maggio; sdrucciola = màcero, àcero; tronca = degnò, seguitò; equivoca ottenuta con parole omofone, cioè di suono identico ma di significato diverso, come: “guardan mute e sole / mute e digiune al sole” (D’Annunzio); rima univoca, fatta con parole omofone dello stesso significato ( vedi “Canzone della Donna Petra” di Dante); rime composte, risultanti dall’accostamento di due o tre parole, quasi sempre monosillabi che, per mezzo dell’accento, danno il suono desiderato: “oncia sconcia non ci ha” (Dante); rima ipermetrica ottenuta con una parola sdrucciola la cui ultima lettera viene computata nel verso seguente oppure elisa per sinalefe dalla vocale iniziale di questo: “ché se uno squillo si senta / passar in Romagna la forte / tutti d’un cuore s’avventano / tumultuando alla morte” (Pascoli); rima interna o rimalmezzo è quella che si verifica tra la parola finale d’un verso e una parola posta nel mezzo del verso successivo: “odi greggi belar, muggire armenti, / gli altri augelli contenti a gara  insieme” (Leopardi); rima d’assonanza o di corrispondenza di suono ovvero rima imperfetta ottenuta con due parole in cui siano uguali solo le voci accentate e quelle finali: decoro-stuolo, bello-senno, timido-lirico, vetta-secca; rima di consonanza detta pure d’assonanza atona ovvero rima imperfetta che si verifica quando rimano tra loro due parole che hanno vocali accentate diverse ma lettere successive identiche: temùto-lasciàto, stìlla-stèlla, scordàre amòre; rime baciate che si susseguono in due versi consecutivi; rime alternate che si hanno quando il primo verso rima con il terzo, il secondo con il quarto ecc.: ABABAB; rime incrociate o chiuse, quando il primo verso rima con il quarto e il secondo con il terzo: ABBA; rime concatenate, quando in un gruppo di terzine il secondo verso della prima rima con il primo e il terzo della terza terzina: ABABCBCDCDED…; rime ribattute o rinterzate, in una terzina con il primo verso di una terzina che rima con il primo verso di una seconda terzina, il secondo verso con il secondo ecc.: ABCABC; rime invertite: ABCCBA; rima ricca, data dal prolungamento dell’omofonìa più all’indietro dell’accento tonico; rima franta, data dal fatto che all’identità dei suoni non risponde l’identità dell’accento tonico; rima per l’occhio, data dal fatto che all’identità dei grafemi non risponde l’identità dell’accento tonico; rima coronata  o ribattuta o martellante, che riprende parzialmente quella che precede (eco); rima interna, più rime nello stesso verso (vedi iper-rima).

 

 

 

ripetizione

Figura retorica di parola consistente nella replica di uno stesso vocabolo o di una stessa frase nello stesso periodo. Di Manzoni: ”Don Abbondio stava, come abbiamo detto, su una vecchia seggiola, ravvolto in una vecchia zimarra, con in capo una vecchia papalina”. Tra i diversi tipi di ripetizione si possono distinguere l’anafora, l’epistrofe, il raddoppiamento (v.).

 

 

ropalici o fistulares, versi

Versi i cui vocaboli crescono man mano di una sillaba: “rem tibi confecti doctissime dulcisonoram”.

Figura 137

 

 

schema additivo

Consiste nell’enumerare diversi elementi, e alla fine, nel ripeterne la menzione usando lo stesso vocabolo e mantenendo l’ordine nel quale furono enumerati gli elementi. È figura enumerativa degli enunciati e paratattica nella sintassi. È analoga alla rapportatio ma ne differisce sia nella composizione che nel significato che è di segno contrario perché, se la rapportatio è figura decompositiva dato che smonta sia la continuità degli elementi della frase, sia quella delle frasi nel periodo, lo schema additivo ne riafferma invece l’unità. Vedi del Groto i sonetti “I fior pigliano odor” e “Di produr perle”.

Figura 138

 

 

scrittura amanuense

La scrittura a mano ha acquistato una specifica espressività verbo-visuale, poiché vive nel gesto: scrivendo, la mano manipola il pensiero che si manifesta in altro modo di quel che si pensava, è un pensiero manuale. Variamente declinate, le grafie individuali si fanno più o meno leggibili nella pagina. Ad esempio, nell’anarchia grafica di Oberto Martino o nella grafia sibillina di Emilio Villa o nei paesaggi allucinati di Carfriedrich Claus: grafolalie esprimenti il conscio e l’inconscio, lo scrivere come un fare e non già la descrizione del già pensato e fatto. La scrittura a mano dei poeti si avvicina alle forme di un certo tipo di pittura segnica che partendo da Paul Klee man mano nel ‘900 si infittisce di nomi quali Hans Hartung, Mark Tobey, Gastone Novelli, Cy Twombly, Mathieu, Wols, Tancredi, Bryen eccetera. Scrittura a mano è pure quella di Claudio Parmiggiani, dalle “tavole di scrittura” al “papiro analfabetico” (1969) alla “deiscrizione” (1971) esposta in una galleria di Milano: un uomo seduto per terra nella posizione della ben nota statua egizia dello scriba, con tutta l’epidermide ricoperta da scritture arcaiche, dal cuneiforme al geroglifico. Pure Luciano Caruso rivendica al gesto dello scrivere una funzione semantica autonoma. La sua è una antiscrittura “da sempre impegnata intorno a un testo indicibile… ove il ‘verbum’ è ormai irrimediabilmente incarnato nelle cose… e si fa tattile e si trasferisce ovunque, dallo spago alla corteccia al sasso eccetera” (S. M. Martini, da “Le porte di Sibari”, catalogo Belforte, 1994). La chirografia di Magdalo Mussio è puro gesto privato, un flusso continuo di reinvenzione del quotidiano che spesso s’inoltra nell’indecifrabile, e si fa memoria diaristica, frammentaria in un cotinuum senza fine.

Figure 139-142

 

 

semantica, poesia

Proposta da Pierre Garnier in “Spatialisme et poésie concrète” (1968) come poema che utilizza il discorso in forme di prescrizione, ingiunzione, comando. Il lettore si fa attore di poesia, sia come individuo che come pubblico. Tracciato un itinerario, l’autore dà indicazioni di percorso o d’azione, la parola si fa puro segnale declinato all’infinito o al soggiuntivo o all’imperativo qual segno d’una azione, gesto, rito, progetto. Il mondo non è più questo, ma quello che il poeta vuole che sia: “va, cours, vole et nous venge!”.

 

 

semeiotica, poesia

Proposta da Julien Blaine e Jean-François Bory sulle riviste “Les carnets de l’Octéor” (1962) e “Approches” (1966) come ricerca di ogni tipo di segno linguistico, visivo, gestuale ecc. prodotto in base a un codice accettato nell’ambito della vita sociale.

Figure 143-145

 

 

serpentini o ecoici o epanalettici, versi

Versi o distici che iniziano e finiscono con la stessa parola o gruppo di parole. Vedi esempio di Eberardo Alemanno alla voce ecoici, versi.

Figura 146

 

 

sesquipedale, carme (di un piede e mezzo)

Fusione di frammenti di vocaboli esistenti separatamente anche in più lingue. Famoso l’esempio di Gervasio di Mekley “honorificabilitudinitatibus”, citato da molti fra cui Dante (“De vulgari eloquentia”), e Shakespeare (“Love’s Labour lost”, Pene d’amor perdute). Altro esempio di PF. Passerini

“Spinx iocoseria sive dodecastichon abecedariogrammaticomusicopoeticogeorgicarchitectonicarithmeticogeometrichieroglyphicoiuridicophilosophicotheologicum”

(“Schediasmata academica, 1650) o, in epoca moderna, del futurista Cangiullo in “Piedigrotta”:

“fetentechiavecoricchionemoposangaechitemmortaetuoiefet”.

 

 

sillèssi

(unione)

Figura retorica per cui si estende arbitrariamente a tutti i termini di un’enunciazione l’attributo logico o il costrutto sintattico proprio di ciascuno di essi. Si definisce con lo stesso nome una figura di sintassi, detta pure costruzione a senso,  per cui si stabilisce una concordanza non secondo il valore grammaticale di una parola, ma secondo il suo senso. Esempio: “Conosco gente che sembrano onesti, ma non lo sono” (sillessi del numero e del genere).

 

 

simbiotica, scrittura

Nel 1967 Ugo Carrega  propone sulla rivista “Tool” la scrittura simbiotica, un interlinguaggio al quale partecipano diverse forme di segni in reciproca interazione, compreso l’oggetto inteso come vocabolo. Carrega ha pure fermato l’attenzione sul supporto: scrivere su materiali diversi implica sia scritture che stili differenziati.

Figura 147

 

 

similitudine

Figura retorica di contenuto, fondata sull’associazione di idee e consistente nel paragonare fra loro due oggetti o sentimenti mettendone in rilievo un elemento comune, astraendo da ogni altra qualità. Esempi: “duro come una pietra”; “freddo come il marmo”; “muto come un pesce”.

 

simultaneismo reale

È detto anche “orfismo poetico” e fu proposto, a partire dal 1912, da Henri Martin Barzun sulla rivista “Poème et Drame” come la più coerente soluzione poetica per rendere il tumulto e la complessità della vita moderna. Ancorata alla versificazione lineare e al minuscolo”io” la voce del poeta si smarrisce, travolta dal rumore di fondo che l’assedia e l’ingloba. Non più dunque il verso ma uno spartito di voci sarà la forma idonea e ogni voce si compenetrerà alle altre e vi si contrapporrà drammaticamente. Sovvertita la concezione prosodica tradizionale, la poesia si farà suono-rumore e tale si presenta in effetti nel grande poema “Orphéide” (1914-1923), di Barzun.

Altri due autori seguiranno questa via, Fernand Divoire e Sebastien Voirol, il primo con una serie di poemi-drammi come “Exhortation à la Victoire” (1914), il secondo con “Le sacre du Printemps” (1914) e altri due poemi con intervento cromatico.

In “Zang tumb tuum” e in altri poemi di Marinetti, e presso altri futuristi (Cangiullo, Depero, Balla ecc.) troveremo forme diverse di simultaneismo a più voci, e altri esempi si moltiplicheranno a partire dal testo dada “L’amiral cherche une maison à louer” scritto a sei mani da Tzara, Huelsenbeck, Janco. Ma è soprattutto nel secondo dopoguerra, con l’avvento della poesia sonora, che assisteremo a un proliferare di testi simultanei con autori quali Bernard Heidsieck, Henri Chopin, Franz Mon, Ferdinand Kriwet, Joel Hubaut, Maurice Lemaître, Paul da Vree, A. Lora Totino, Nanni Balestrini.

Figura 148-150

 

 

sincope

(sospensione)

Figura metrica consistente nella caduta di uno o più suoni all’interno di una parola. Esempi: spirto per spirito, opre per opere.

 

sincràsi

(fusione)

Figura grammaticale consistente nella fusione della pronuncia di tre o quattro sillabe in una sola. Esempio: a-iuo-la.

 

sinèddoche

(comprensione)

Figura retorica di parola consistente nel trasferire una parola dal suo significato proprio a un altro cha abbia col primo un rapporto di quantità. Più precisamente consiste nel nominare la parte per il tutto: “campione del pedale” (della bicicletta), il tutto per la parte: “scarpe di camoscio” (di pelle di), il genere per la specie “l’animale” (l’uomo), la specie per il genere: “lo zefiro” (il vento), il singolare per il plurale: “il vizio” (tutti i vizi), il plurale per il singolare: “i cieli” (il cielo).

 

sinèresi

(contrazione)

Figura metrica consistente nel considerare come unica sillaba due o tre vocali contigue appartenenti alla stessa parola, ma non formanti dittongo o trittongo. Esempio: “e fuggìano e parèano un cortèo nero” dove appaiono tre sinèresi (Carducci).

 

sìstole

(contrazione)

Figura metrica d’accento consistente nel ritrarsi dell’accento tonico di una parola verso l’inizio di questa: piéta per pietà; Ànnibal per Annìbale. Il contrario della sìstole è la diàstole (v.).

 

sonetto

Componimento poetico di 14 endecasillabi, diviso in 4 strofe, le prime due quartine a rime alternate o aperte, le seconde terzine. Varianti: sonetto caudato o sonettessa, con l’aggiunta di una o più terzine a formare la coda; sonetto doppio o rinterzato, con l’aggiunta di un settenario dopo ogni verso dispari delle quartine e dopo ogni secondo verso delle terzine; sonetto minore in cui le quartine e le terzine hanno la stessa rima; sonetto anacreontico, tipo il sonetto minore e coda come il sonetto caudato.

 

 

sonora, poesia

La poesia sonora nasce con le avanguardie storiche nelle famose serate futuriste alla galleria Sprovieri (1912-14) e in altre sedi e poi al cabaret Voltaire a Zurigo nel 1916 da parte dei dadaisti. Ma prima ancora con il gruppo dei simultaneisti riunito intorno alla rivista “Poème et Drame” (1912-14). Contemporaneamente nacquero l’onomalingua (v.) di Depero e il rumorismo verbale di Giacomo Balla. Ma rumorismo e onomatopea erano già caratteristiche dei simultaneisti, futuristi e dadaisti.

La poesia pre-dada russa  (A. Krucenych, Iliazd) è già poesia sonora come lo zaum (linguaggio transmentale) di Chlebnikov. Si usa chiamare la poesia dada come poesia fonetica (H. Ball, T. Tzara, R. Hausmann, K. Schwitters).

Nel secondo dopoguerra la poesia sonora trova un convinto assertore nel fondatore del lettrismo (v.) Isidore Isou, negli ultralettristi (vedi cryrithme), in Henri Chopin (vedi audiopoème), in B. Heidsieck (vedi poème-partition). Intanto la poesia sonora troverà sempre più numerosi adepti sia in Europa che in America e in Giappone (vedi musica e poesia).

Figure da 151 a 160

 

 

sotadica, parola-frase-verso

vedi: palindromo

 

 

spazialisme

Forma poetica affine alla poesia concreta, proposta da Pierre Garnier nel 1964 (manifesto su “Les Lettres” n° 33) e nel successivo manifesto scritto a quattro mani con Seiichi Niikuni (1966).

 

sprechaktionen

vedi: poesia sonora

 

 

stanza

Strofa, cioè serie di versi con una forte pausa a fine strofa e con schemi di rime diversi: ottava, sestina, quartina ecc.

 

strofa

In origine, giro del coro nell’orchestra. Un insieme ordinato di versi secondo un dato schema in modo da formare un periodo ritmico compiuto. Sinonimo di strofa sarebbe stanza, ma non perfettamente: la strofa può continuare anche nei raggruppamenti successivi, colle terzine dantesche a rime incatenate.

Principali strofe: il distico, la terzina, la quartina, la sestina, l’ottava, la nona rima, strofa a schema libero dove si alternano strofe diverse e anche versi di vario metro come le strofe della canzone leopardiana.

Strofe classiche sono quelle composte ad imitazione di quelle degli antichi greci: strofa alcaica, anacreontica, asclepiadea, archilochea, alcmania, giambica, piziambica, saffica.

Il distico è composto di due soli versi, solitamente a rima baciata: “o cavallina, cavallina storna / che portavi colui che non ritorna”. Terzina o terza rima ovvero di tre versi ove lo schema più comune è quello a rima incatenata ABA BCB CDC DED… Le ultime due strofe del sonetto sono terzine.

Quartina, di quattro versi. Le rime possono essere alternate (ABAB) o incrociate (ABBA). Può essere formata da endecasillabi, settenari, novenari, quinari.

Sestina, di sei versi. Di solito i primi versi a rime alternate, gli ultimi due a rima baciata: ABABCC ma pure ABBACC ma pure ABBACC oppure AABCCB oppure ABBAAB; verso tipico l’endecasillabo con o senza settenari. Sestina lirica o provenzale, variazione della canzone; consta di sei terzine di endecasillabi più commiato di tre endecasillabi; i versi sono senza rima, ma le parole finali della prima strofa si ripetono nelle altre strofe secondo questo schema: ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD, DEACFB, BDFECA.

Ottava, di otto versi endecasillabi, i primi sei a rima alternata, i due finali a rima baciata: ABABABCC.

Nona rima a endecasillabi, i primi otto come l’ottava, l’ultimo rima coi versi pari dell’ottava: ABABABCCB.

Strofe classiche: alcaica (Carducci): 4 versi, i primi due si rendono con due quinari accoppiati, uno piano, l’altro sdrucciolo; il terzo con un novenario, il quarto con un quinario doppio o con un decasillabo. Anacreontica (Chiabrera) in due tipi, uno detto pure canzonetta melica, l’altro detto arietta. Il primo è di strofe di sei versi (ottonari e quaternari oppure settenari e quinari). L’arietta è composta di strofette di 4 o di 6 versi ciascuna, settenari o quinari. Asclepiadea (Carducci) in tre modi diversi. Il primo composto da tre endecasillabi sdruccioli o da tre quinari doppi più un quarto verso settenario sdrucciolo. Il secondo consta di due versi formati da una coppia di quinari sdruccioli più un settenario piano e un settenario sdrucciolo. Il terzo consta di due settenari sdruccioli e da una coppia di quinari sdruccioli. Archilochea, resa dal Carducci con un endecasillabo sdrucciolo e con un verso secondo composto da un settenario piano e da uno sdrucciolo. Alcmania resa dal Carducci con due esametri (primo e terzo verso) e due novenari (secondo e quarto). Saffica (Carducci) che consta di quattro versi, i primi tre endecasillabi più un quinario accentato sulla prima sillaba.

Il calco dei modelli classici nelle “Odi Barbare” di Carducci, rappresenta l’indice più clamoroso di uno stato di crisi delle strutture metriche e in generale poetiche e non solo in Italia (in Francia il poema in prosa e il verso libero di fine ottocento sono già metri trasgressivi). L’aver tentato l’impossibile ovvero ricreare forme metriche nate quantitative in metri accentati: basti ciò per capire e giustificare la successiva esplosione delle avanguardie che tra l’altro avrebbero portato, con la mimodeclamazione futurista e la successiva poesia sonora, alla ripresa della quantità classica in forme ovviamente moderne.

 

 
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