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GLOSSARIO

 

J K L M

 

 

 

iconografia

 

 

 

 

labirinti, carmi

L’archetipo del labirinto applicato alla parola trovò nel periodo barocco uno sviluppo straordinario e fu chiamato labyrintus poeticus cubicus, metricus, retrogradus, cubus a seconda delle rispettive soluzioni. Possiamo avere labirinti alfabetici o di versi o cubici. Un antico esempio di labirinto cubico è il “Sator” (v.), forse del I secolo d.C.. I labirinti cubici possono creare un sorprendente effetto di cinevisualità virtuale nel senso che l’allineamento delle lettere alfabetiche a rombo partendo dal centro, crea una perturbazione ottica alquanto evidente. Esistono esempi di labirinti cubici presso gli Egizi dell’epoca alessandrina. Nel 1700 in Spagna e in Portogallo questa forma fu particolarmente coltivata. In epoca moderna abbiamo un esempio dell’americano Emmett Williams, “Meditation 2”.

I labirinti di versi erano molto in voga nel periodo barocco. Un altro tipo è quello circolare o spiraliforme, quest’ultimo esemplificato dal famoso disco di Phaistos (Creta, 1250 a.C.), con iscrizione non ancora decifrata che ricorda il labirinto del Minotauro. Una forma circolare moderna è quella sviluppata in più varianti dal tedesco Ferdinand Kriwet. Pure i labirinti alfabetici diversi dai cubi possono creare effetti cinevisuali come un esempio tratto dal “Primus calamus…” (1663) di J. Caramuel de Lobkowitz (v. alla voce ‘intexti, versi’, la figura 68).

I labirinti di versi sono composti da brevi strofe di 4, 5 versi che vengono permutati (sia i versi che le strofe) e disposti per letture dal basso in alto o per diagonale o retrogradi. In un labirinto del portoghese Luis Nunes Tinoco le combinazioni del verso fra di loro raggiungono la cifra di 14.996.480 possibilità.

Il labirinto verbale è collegato ai modelli elaborati dalla cabala ebraica, tendenza esoterica che considerava le lettere dell’alfabeto quali simboli di forme espressive del nome divino.

Figure da 81 a 84

 

 

latente, poesia

Così chiama Tristan Tzara la propria poesia, contrapponendola alla poesia “diretta” cioè quella tradizionale. La poesia latente è costruita con la tecnica del collage di frammenti linguistici o di frasi dal contenuto più o meno incoerente, espressione del nichilismo dada. Vedi “La première aventure céleste de monsieur Antipyrine” (1916) e i “Vingt-cinq poèmes” (1918).

Figura 85

 

 

lautgedicht

ovvero “speechpoem”, “poesia vocale”, sinonimi di poesia sonora.

 

 

lettrismo

Nel 1947 il romeno Isidore Isou, fondatore del movimento lettrista, propose una poesia astratta unicamente composta da fonemi. La forma glossolalica che ne nasce si approprierà pure dei fonemi dell’alfabeto fonetico internazionale più molti altri suoni quali il respiro, lo schiocco, lo sbadiglio, il colpo di tosse, la pernacchia ecc., aprendo così tutta una ricerca sulle vibrazioni dell’apparato fonatorio, cosa del resto già preannunciata dal futurista Luigi Russolo ne “L’arte dei rumori” (manifesto del 1913) e dalla poesia fonetica dada. Di conseguenza il lettrismo riapre, nel secondo dopoguerra, le ricerche di poesia sonora.

Tra l’altro l’affermazione di Isou, per il quale la radice del lirismo trae origine dal grido inarticolato, sollecita gli ultralettristi J. L. Brau, G. Wolman e soprattutto François Dufrêne a proclamare l’avvento del cri-rythme (1960), improvvisazioni fonematiche di ogni genere. Così pure Henri Chopin dal 1965 in poi comporrà gli “audiopoèmes”, una sorta di densa pasta sonora composta da un gran numero di sovrapposizioni di rumori prodotti dalla bocca e dal respiro.

Altra idea di Isou è quella del “poema afono”: “On fait du silence une matière à travailler”, ciò che sarà materia di riflessione per l’americano John Cage. Un altro momento interessante del lettrismo è l’ipergrafia, dominio di tutte le scritte esistenti o da inventare, un’arte del segno in tutte le sue accezioni.

Figure da 86 a 92

 

 

libro d’artista – libroggetto

Riportiamo alcune note sull’argomento di Giovanni Fontana (dalla rivista “Territori” giugno 2006, n° 14 anno XII, Frosinone):

“Libro d’artista: oggetto che materializza la trasversalità del linguaggio e delle tecniche, che segna il recupero degli aspetti plurisensoriali della comunicazione estetica e che inoltre (…) riafferma una dimensione artigianale che andava scomparendo e una manualità che sembra testimoniare la volontà di ricercare ritmi più pacati da contrapporre alla velocità dell’universo digitale (…). Il libro d’artista può porsi come occasione verbovisiva e come narrazione in termini plastici, come teatro di ombre e come spettacolo materico, come scatola magica e come camera delle meraviglie, come palestra di avventure totali e come terreno di giochi, come misuratore di temi mentali e come diario dei sensi, come prodotto d’uso e come feticcio, come reperto da custodire e come dono da amare, come traccia, come testimone muto del gesto, come segno da disperdere, come puzzle da montare, come labirinto da percorrere, come perimetro da definire, come oggetto rituale e come scandaglio tecnologico, come tessuto contaminante, ma anche come deiezione e catalogo trash, come indicazione esemplare o come attrezzo volgare, come poema con voce, come partitura da eseguire, come contenitore di suoni cristallizzati o come strumento realmente sonoro, come luogo da abitare o come nido da covare, ma anche come macchina della sorpresa trasversale, come scheda digitale, come congegno intermediale, come circuito elettrico ed elettronico o all’opposto come sacra teca, come arca segreta, persino come pietra tombale e come confessionale e poi come oggetto di trasgressione, come oggetto erotico, come travestimento carnascialesco o come maschera  tragica, come testamento grottesco e come eredità dissipata, come mappa da decrittare e come passaporto di viaggio, come occasione perduta o come memoria ritrovata e così via con tipologie, generi e varietà. Il libro d’artista è oggetto da percorrere non solo guardando e leggendo ma toccando le pagine, apprezzandone la rugosità, sfogliandole sonoramente, sentendo il profumo della carta, respirandone le atmosfere, manipolandone il corpo e vivendone tutta la pregnanza, addirittura gustandone il sapore (Carlo Belloli offrì al pubblico pagine d’artista in forma e sostanza di poemi commestibili; Lora-Totino e S. Cena nel 1971 presentarono a Torino i “pappapoemi”). Al libro d’artista è tutto concesso oltre ogni limite; basti pensare che è l’unico tra i libri che può permettersi di essere illeggibile, ad esempio “Piero Manzoni the life and the works” del 1962: un libro di pagine bianche, e i “libri illeggibili” di Bruno Munari dove il testo lascia lo spazio alla comunicazione visiva o tattile che avviene attraverso la natura della carta, lo spessore, la trasparenza, il formato delle pagine, il colore, la texture, la morbidezza e la durezza, il lucido e l’opaco, le fustellature e le piegature (…). Così il libro comunica se stesso e  non un testo che gli è stato stampato sopra”.

Paradossalmente il più antico libro d’artista fu il “Panegirico dell’imperatore Costantino” di Optaziano Porfirio, costituito da una serie di pagine a “versus intexti” fra di loro correlate da una stretta corrispondenza. L’originale, dono all’imperatore, è andato perduto, ma ne abbiamo una sintetica descrizione nella dedica: “Ut oculorum sensus inter distincta colorum pigmenta delectent, ostro tota intens scripta argento auroque coruscis notis” (affinché la vista sia attratta dai diversi pigmenti dei colori, libro tutto splendente di porpora e scritto in argento e oro in sfavillante rilievo) in un bizantinismo alla Klimt. Altri esempi dell’epoca carolina sono alcuni libri su pergamena con testi mistici e versus intexti, opere squisite di Rabano Mauro (uno è presso la biblioteca nazionale di Torino con caratteri dipinti a tempera).

Saltando i secoli, ecco il “livre vertical” realizzato in serigrafia pochoir nel 1913 da Blaise Cendrars e Sonia Delaunay sul poema di Cendrars “La prose du Transsibérien”. Poi di El Lisitskij nel 1922, “I due quadrati a tutti i bambini, racconto suprematisti in sei costruzioni” e, sempre dello stesso autore, “Per la voce” su poemi di Maiakovskij. Sempre di El Lisitskij la cartella di figurine in configurazione plastica illustrante lo spettacolo “Vittoria sul sole” su testo di Krucënych (Hannover 1923).

Passando ai futuristi, il “Libro dei bulloni” (1927), capolavoro di fantasia plastico-verbale di Fortunato Depero. Poi la famosa litolatta “Parole in libertà olfattive tattili termiche” di F. T. Marinetti (1932) in serigrafia su fogli di latta, così come “L’anguria lirica” di Tullio d’Albisola, curato graficamente da Bruno Munari. Da segnalare  un progetto di libro d’artista firmato nel 1923 da Kurt Schwitters e Theo van Doesburg, dal titolo “Een rumoerige soiree”, poi realizzato nel 1973 in Olanda.

Altri libri d’artista sono il romanzo-collage “Neurosentimental” (1972) di Stelio Maria Martini; di A. Lora Totino le tre situazioni plastico-verbali del 1969, i “Corpi di poesia” di Carlo Belloli (v.) e, sempre di A. Lora Totino “A ferro e fuoco”, dieci verbotetture su tavole d’acciaio, alluminio, rame, ottone, zinco (Studio Morra, Napoli, 1988).

 

 

linguaggio maccheronico

Composta da latino grossolano ovvero dialetto vestito alla latina, “latinus crassus qui facit tremare  pilastros”. Deriva in parte dalla spregiudicata tradizione goliardica e dai Carmina Burana, silloge del 1250 circa di componimenti spesso travestimenti di testi biblici e liturgici. Trova origine a Padova verso la fine del quattrocento in un ambiente di studenti o professori come parodia del latino, ma fondata sul rispetto della tradizione classica nella morfologia, nella sintassi e nella metrica (esametro), adattata tuttavia al lessico dialettale per ottenere effetti comici e grotteschi. È soprattutto con Teofilo Folengo che tale impasto linguistico si fa cosciente scelta stilistica di alto livello.

Figura 93

 

 

lingue immaginarie

Sono lingue ove le sequenze foniche, inesistenti nella lingua del fruitore, anzi in nessuna lingua costituita, si possono interpretare solo facendo appello a un simbolismo diverso da quello delle lingue istituzionali, vale a dire a un simbolismo esclusivamente fonico. L’uso letterario si appoggia ad altre attività quali magia, mistica, utopie, donde nascono le formule segrete, la glossolalia e le speculazioni sulla lingua originaria o anche per imitazione di linguaggi stranieri nelle sole apparenze foniche dando luogo al grammelot (v.). Nella pratica si agisce sulle possibilità combinatorie delle unità linguistiche minori piuttosto che su quelle superiori: sui fonemi, le sillabe, i prefissi e suffissi, le radici oppure sui gruppi di fonemi per rapporto alle frasi.

Uso di suoni non esistenti in una data lingua: il lettrista Isou in “Introduction à une nouvelle poésie” (1947) propone l’immissione in poesia di nuovi suoni (v. lettrismo).

Le onomatopee, invece, che riproducono i suoni della natura con i suoni codificati della lingua, non rientrano in questa categoria.

Lingue immaginarie sono combinazioni di suoni non ammessi in una data lingua costituita: per esempio presso gli anagrammisti rinascimentali e barocchi o nel testo “A” di Apollinaire (“Lacerba” n° 14 del 15-7-1914), tutte le permutazioni, comprese quelle senza senso.

Sono altresì lingue immaginarie anche le combinazioni di suoni ammesse in una data lingua costituita, ma riuniti in modo da formare vocaboli che non appartengono al suo tesoro lessicale: a) discorsi che formano combinazioni foniche lunghissime senza rotture (e senza similvocaboli e similfrasi); b) discorsi che tagliano il continuo linguistico in segmenti simili per la loro misura ai vocaboli, ma senza che corrispondano a combinazioni esistenti nei linguaggi costituiti.

Al primo gruppo appartengono le parole sesquipedali (v.) formate dall’aggregazione di vocaboli esistenti come certi esempi di Rabelais (Quart Livre, c. 15) o di Joyce (Finnegans wake).

Nel secondo gruppo la sembianza di vocaboli è stabilita dagli stacchi nel continuo,perché se questi stacchi non ci fossero, la lunghezza materiale dell’enunciato coinciderebbe con la continuità dell’emissione vocale, costringendo a una lettura recto-tono e senza accenti, dato che di solito l’autore non segna l’accento. Il quale accento sarà pertanto scelto dal lettore che lo farà obbedendo alle  leggi foniche della propria lingua. Così la lingua immaginaria finirà per assumere la fisionomia acustica d’una lingua costituita, il che vale a dire che la lingua materna impone anche in questi casi la propria impronta. Si noterà l’emergere di fonìe proprie della lingua materna dei rispettivi autori facendo un raffronto tra il poema “Seepferdchen und Flugfische” di Hugo Ball (1916): “tressil bessil nebogen leila / flusch kata / ballubasch / zack hitti zop / hitti betzli betzli / prusch kata / ballubasch / fasch kitti bim” ecc., con un frammento della “Verbalizzazione astratta di Signora” di Depero (1917): “rosluci / acuci / vidici / cilocip… / escoriacalami / manisecherò / chirullimaconi…”.

Nelle lingue immaginarie create dai poeti il fattore acustico è essenziale. Non conta tanto, invece, quanto esso è usato per rappresentare lingue utopiche o lingue crittografiche. La lingua immaginaria dei poeti prova dunque che è possibile una strumentazione sonora della lingua del tutto indipendente dall’organizzazione dei significati. Si pensi, oltre che al “papé satan” dantesco, ai travolgenti rovesci di risate in Rabelais, alle glossolalie, ai cigolii di Andreas Griphius “och hax fax stracks unde backs. E neugeleet ee unde jung bine wachs”.

 

 

 

liquida, poesia

Nel 1958 A. Lora Totino e Piero Fogliati pubblicano “Il liquimofono”, congegno generatore di Musica Liquida e la Poesia liquida, inflessioni tuffate nell’Idromegafono” (coedizione Studio di Informazio Estetica e V. Scheiwiller, Milano). I due strumenti, il liquimofono, una specie di organo ad acqua e aria compressa, e l’idromegafono furono costruiti da Piero Fogliati. Della Poesia liquida Lora Totino diede numerosissime performances in Italia e all’estero.

I testi di poesia liquida sono costituiti da “poemi profondi”, omaggio al poema “Fisches Nachtgesang”  (Canto notturno del pesce) di C. Morgenstern; da “testi-naufragi” (omaggio ad Ungaretti) e dai linguaggi dei pesci. La poesia liquida è una forma di poesia da cabaret, né più né meno.

Figura 94

 

 

litote

(esiguità)

Figura retorica consistente nell’attenuare il concetto dicendo non ciò che una persona o una cosa è, ma ciò che non è. Es.: “non c’è male” (benino); “non è un Adone” (è brutto).

 

 

mesostico

vedi: acrostico

 

 

metafora

(traslato, trasposizone)

Figura retorica di contenuto che consiste nel trasferire a un vocabolo il significato di un altro vocabolo: “il cuore dell’inverno”; “il fiore degli anni”; “a pie’ del colle”. Si fonda su una relazione di somiglianza ed è una “similitudine inespressa” ossia tale che i termini di paragone risulano identificati: la base del colle equivale al piede dell’uomo: la metafora rende il concetto astratto mediante un’immagine concreta.

 

 

metàtesi

Trasposizione di lettera all’interno di una parola: sucido per sudicio; spengere per spegnere; vegno per vengo.

 

metatetico, carme

vedi: concordanti, versi

 

 

metonimia

(scambio del nome)

Figura retorica di contenuto per la quale si usa un nome invece di un altro con cui è in rapporto. Ad es. si indica l’effetto per la causa: “ho vissuto sempre col mio sudore” (col mio lavoro); oppure la causa per l’effetto: “l’estate ardeva nella campagna” (il caldo dell’estate); il contenente per il contenuto: “bevemmo tre bottiglie” (il contenuto di tre bottiglie); l’autore per l’opera: “ho ascoltato Chopin” (la musica di Chopin) eccetera.

 

 

monosillabici, versi

Ad es.: “lux, nox, pix, mel, fel, nos, vos, res cui par nil” (luce notte pece miele fiele, noi voi, cose senza pari) (P. F. Passerini, ripreso dal Caramuel).

 

 

mot-valises

Fusione tra radice e radice di vocaboli. Esempi tipici quelli di Rabelais nel capitolo XV del Quart Livre, ad es.:

 “il ne leur a suffis m’avoir ainsi lourdement morrambouzevezengouzequoquemorgautasacbacguevezinemaffressé mon paouvre oeil…”

oppure questo mostro lessicale tratto dalla prima pagina del Finnegans Wake:

 “The fall (bababadalgharaghtakamminarronnkombronntonnerronntuonntrovarrhounavnskawntoohoohoordenenthurnuk!)”.

Vedi pure carme sesquipedale.

 

 

 
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