dattilogramma (typoem, poème
mécanique)
Il
primo autore che usò la macchina a tasti con intenti d’arte fu il tipografo e
pittore H. N: Werkman verso il 1920. Seguirono nel 1926 le composizioni di
Pietro Saga e gli “esercizi di costruzione” dattilografici compiuti dagli
studenti di Josef Albers alla Bauhaus di Dessau.
Dopo
la seconda guerra mondiale Stefan Themerson pubblicò nel 1946 a Londra una
serie di “semantic divertissements” composti a macchina e accompagnati da
illustrazioni della moglie Franzeska. Dopo il 1950 l’uso di questo mezzo a
scopi d’arte esplode. Molti poeti concreti lo usarono, in specie Ilse e Pierre
Garnier, Jirí Kolár, Henri Chopin. Nel novembre-dicembre 1973 fu tenuta una
esposizione dedicata alla “typewriter art, half a century of experiments” (New
57 Gallery, Edimburg) a cura di Alan Riddle.
Figure 45-49
derivativo, carme
Componimento
i cui vocaboli derivano tutti dagli anagrammi, perfetti o no, di una parola di
base. Es.: “porcus opus orcus rus” oppure “rosso osso roso oso” ecc.
diastole
(dilatazione)
Figura
metrica di accento. Nella metrica italiana indica lo spostamento dell’accento
verso la fine della parola per esigenze di versificazione. Es.: geométra per
geòmetra, Ettòrre per Èttore. Figura contraria è la “sistole” (v.).
dièresi
(separazione)
Figura
metrica evidenziata dal segno ortografico (¨) per indicare che due vocali non
formano dittongo e si devono pronunciare separatamente a differenza che
nell’uso comune. Es.: pïo, vïola, orïental.
eco
(anadiplosi)
Artificio
per cui di due parole contigue la seconda ripete la parte finale della
precedente purché questa sia provvista di un senso autonomo. Es.: “assenso
senso-so” “che fai tu, Eco, mentr’io ti chiamo?-Amo” (Poliziano); “chi darà
fine al gran dolore?-L’ore”; “come ho da vincere chi è pergiura?-giura”
(Daniele Barbaro).
Figura 50
ecoici, versi
(anadiplosi)
Detti
pure recisi o ribattuti o coronati. La figura consiste nella ripetizione di una
parte di una parola, in un contesto non dialogato. Es.: In mundos-mundos, tormentis-mentis.
Figura 51 e 136
elisione
Figura
metrica: soppressione, notata con apostrofo, di vocale atona finale innanzi a
vocale iniziale, allo scopo di ottenere un suono più armonioso. Da non
confondere con il ‘troncamento’, che può eliminare un’intera sillaba anche
davanti a parole comincianti per consonante e non si segnala con l’apostrofo
(v.). Es.: d’amore; l’eterno; l’amica.
ellissi
(figura contorta)
Figura
grammaticale che consiste nell’omettere qualche parte del discorso che si può
sottintendere facilmente. Es.: “e tu a me” (sottinteso: dicesti); “cattivo!”
(sott. sei); “guai a te” (sott. accadranno).
emblema
(cosa inserita)
Figura
simbolica accompagnata da motto o sentenza in un insieme composto da tre parti:
un breve motto (inscriptio) che introduce il tema simbolicamente rappresentato
da una figurazione (pictura) la quale è poi descritta e spiegata da un
epigramma (subscriptio) o breve testo in prosa. Le tre parti contribuiscono,
ciascuna al proprio modo, alla doppia funzione di rappresentare e interpretare
l’insieme dell’emblema. Nel 1531, il veneto Andrea Alciato pubblicò “Emblemata”
che ebbe immenso successo. Seguirono altri autori nel 1500 e nel 1600. È una
forma di pensiero allegorico e non si esaurisce nel libro ma s’estende a
pittura, decorazione, arazzeria ecc.
Figura 52 e 53
enallage
(inversione)
Figura
grammaticale consistente nell’usare una parte del discorso diversa da quella
che si dovrebbe regolarmente usare. Il nome per l’aggettivo: “ogni colpo è
morte” (mortale); l’aggettivo per il nome: “ammiro il bello” (la bellezza);
l’aggettivo per l’avverbio: “parlo chiaro” (chiaramente); un tempo presente per
un tempo futuro: “domani vado” (andrò) ecc.
endìadi
(uno mediante due)
Figura
grammaticale consistente nell’esprimere una sola idea per mezzo di due vocaboli
coordinati. Es.: “la fortuna e il caso” (un caso fortunato); “la spensieratezza
e la gioventù” (la spensierata gioventù).
enjambement
Voce
francese (scavalcamento) che indica il fenomeno metrico per cui la frase logica
del discorso poetico non coincide con il verso ma prosegue in quello
successivo andando a scavalcare il primo.
“Vi
fan vaghe spalliere ombrosi e folti / tra i purpurei rosai verdi
mirteti” (G. Marino). “Gran tempo intenti e fissi / i lumi miei nei
lumi suoi tenendo”. (G. V. Imperiali).
epanalessi
(raddoppio)
Ripetizione
dello stesso vocabolo ad inizio e fine del verso. Es.: “res
hominum fragile alit, et pariunt fors. / fors dubia, aeternumque
labans quam blanda fovet spes. / spes…” (D. M. Ausonio).
epèntesi
(addizione)
Figura
metrica: inserzione d’un suono o d’una sillaba nel mezzo d’una parola. Es.:
“umilemente”.
epifonèma
(esclamazione)
Figura
retorica consistente nel concludere un discorso con una esclamazione che
contiene una sentenza morale. Es.: “il colpevole fu infine arrestato: la
giustizia raggiunge sempre chi l’offende”.
epifora
(aggiunta)
Ritorno
della stessa parola alla fine di più proposizioni.
epistrofe
(conversione)
Particolare
forma di ripetizione (v.) retorica in cui si riprende più volte nello stesso
periodo il vocabolo o membro finale della frase.
epìtesi
vedi: paragòge
esclamazione
vedi: interiezione
eteòstico
vedi: cronogramma
eufemismo
Figura
di contenuto consistente nell’usare parole o circonlocuzioni gradevoli e
attenuate per esprimere concetti che, indicati apertamente col loro nome,
riuscirebbero sgradevoli o dolorosi. Es.: “render l’anima a dio”, “passare a
miglior vita”, “adescatrice” (per prostituta).
evidente, poesia
Così
titola il cecoslovacco Jirí Kolár una fitta serie di esperimenti ove la parola
viene sostituita dall’oggetto e dal collage: “rolages” (avvolgimenti),
“chiasmages” (intersecazioni), “poesia a punti”, “poesie astratte” a pagine
spiegazzate, “poesie censurate” parzialmente cancellate, “poesie nodulari”
fatte con spaghi intrecciati, “poesie per ciechi” a scrittura pseudo Braille,
“poesie analfabetiche” fatte di scarabocchi, “poesie musicali” a pentagrammi
spezzati e ricomposti, “poesie del bucato” con stracci appesi a mollette,
“poesie oggettuali” fatte con oggetti di scarto.
Figura 54
fatras
(pasticcio)
Un
tipo di poesia francese scritta tra il 1300 e il 1350 come sviluppo della
precedente “fatrasie” (v.).
fatrasie picarde
Poesia
francese della seconda metà del 1200. A forma rigida di strofa a sei
pentasillabi seguiti da cinque eptasillabi con schema AabaabbabaB che copre una
giustappposizione di frammenti di discorso senza legami fra di loro, come:
“Doucemente me reconforte / Una chatte a moitié morte / Qui chante tous les
jeudis / Una alleluja si forte / Que li clichés de no porte / dist que siens
est lilendis / S’en fu nus leurs si hardis / Qu’il ala mangré sa sorte / Tuer
Dieu en paradis / Et dist “Compains je t’aporte / Cela que mon coeur a pris”.
(Watriquet de Couvin).
Il
senso si produce per gioco di contraddizioni semantiche (un muto che parla) o
per l’incontro di elementi di reale assurdità (una casa che si avvicina) o per
l’assenza di legame fra oggetto e predicato, fra l’azione e le circostanze.
Solo la rima e la melodia tengono insieme la continuità del discorso. Una sola
frase complessa, articolazioni nette ma fittizie mettono a confronto briciole
di reale in un movimento di affrancamento che tocca meno la realtà quanto
piuttosto il linguaggio e che P. Zumthor ha chiamato “surrealismo del
discorso”. Uno spregio della coerenza semantica del linguaggio, il quale,
spogliatosi della necessità di significato, dell’esigenza referenziale,
inscena la propria assurdità. Come: “tripe de moustarde // se fasoit musarde /
dou poistron s’antain…”.
fistulares, versi
vedi: ropalici, versi
fonetica, poesia
Da
non confondersi con la poesia sonora, di cui è parte. Nasce nel 1915
nell’ambito del movimento dada, al cabaret Voltaire, dove Hugo Ball recita le “poesie
senza parole”. Seguono di lì a poco le poesie fonetiche di Raoul Hausmann e di
Kurt Schwitters (di quest’ultimo v. la poesia conceguente). Dal 1916 al 1919
Pierre Albert-Birot pubblica sulla sua rivista “Sic” i “Poèmes à crier et à
danser”. Sempre al cabaret Voltaire, T: Tzara aveva recitato poemi “bruitistes”
contraffacendo suoni delle lingue africane. Poesia fonetica è pure quella di
Michel Seuphor che è basata sulla declamazione delle lettere alfabetiche o di
parole astatte costruite con l’alfabeto. Piuttosto affine è la poesia lettrista
(v.) del secondo dopoguerra.
Figure da 55 a 63
fraccisi, versi
vedi: ecoici, versi
frottola
Componimento
poetico d’origine popolare, da ‘frotta’ (affastellamento), in forma di
cantilena spesso dialogata, una elencazione di motti, pensieri a volte senza
nesso e con metrica irregolare. Dalla frottola deriva il gliommero (v.).
gematrici, carmi
Espressione
linguistica nella quale si conferisce un valore numerico alle lettere
dell’alfabeto che la compongono. Vedi: cronogramma.
Figura 64
geroglifico
(di sacro intaglio)
Artificio
per cui un disegno designa un intero vocabolo. Un seguito di disegni
giustapposti viene così a formare una intiera frase linguistica. Esso deriva
dalla errata opinione che gli umanisti italiani del Quattrocento si erano fatti
della scrittura egizia.
Figura 65 e 66
ginnica, poesia
Nel
1974 Arrigo Lora Totino inaugura la poesia ginnica alla galleria Nuove Proposte
di Martina Franca. Si tratta di un tipo di integrazione tra parole e mimica,
una mimo-poesia. “Il declamatore futurista deve declamare colle gambe come
colle braccia – aveva scritto Marinetti nel ‘Manifaesto della declamazione
dinamica e sinottica’ (1916) – per esprimere il dinamismo delle parole in
libertà”.
Nel
catalogo della “Settimana internazionale della performance” (Bologna, 1977)
Francesca Alinovi scriveva come l’artista (Lora Totino) avesse offerto “un
eccellente spettacolo di poesia mimata e declamata, dimenandosi con suprema
grazia e stile e facendo vibrare tutte le corde del suo corpo, che trasforma in
un perfetto strumento musicale”. I fulminei poemi ginnici sono veri e propri
gags verbo mimati, talvolta eseguiti in duo con l’artista Sergio Cena.
Centocinquanta circa sono le performances esguite da Lora Totino dal 1974 in
poi.
Figura 67
gliommeri, o gliuòmmeri
Componimenti
in endecasillabi con rima interna, denominati con questo vocabolo del dialetto
napoletano significante ‘gomitolo’ perché composti da una serie di motti,
frizzi, sentenze e argomenti vari, fra di loro intrecciati come in una
complicata matassa. Il più antico esempio in volgare è settentrionale, un
bisticcio, o gliommero, fatto da Francesco di Vannozzo sul gioco della zara
(1399). Nel Quattrocento il gliommero fu ripreso dal Sannazzaro.
glossolalìa
Dal
greco: di chi parla in lingue o il “parlare strano” come dice S. Paolo nella
prima lettera ai Corinzi. È pure testimoniato da Platone come di chi parla in
stato d’estasi: la Pizia, le Sibille, gli sciamani o gli stregoni voodoo (le
stregonesche invocazioni agli spiriti maligni per ottenere un certo tipo di
diagnosi o di cura, e degli stessi l’invasamento e lotta in trance coi demoni
in una forma di drammatica personificazione e con l’uso di speciali toni di
voce e di pantomime). Così pure sono glossolalìe le esteriorizzazioni
linguistiche durante le funzioni di certe confessioni cristiane come i
Pentecostali*. In quest’ultima forma, la più studiata, la glossolalìa si
presenta come una sorta di vocalizzazione di supposte parole senza senso che
dalla comunità dei fedeli è interpretata come ispirata direttamente dalla
divinità. Si compone di espressioni di varia durata, da pochi secondi a un’ora
e più. Benché incomprensibili, tali espressioni variano da persona a persona e
certe persone possiedono più d’una “lingua”. Il più delle volte la g. nasce
nei momenti di ringraziamento e lode alla divinità ed è abbinata a sensazioni
di grande libertà e di pace che possono persistere ben oltre l’evento parlato.
La g. soddisfa a certe funzioni sia sociali che individuali. Ad esempio
giustifica un tipo di esperienza religiosa, conferma l’autorità di certi capi
spirituali. Molte persono indulgono a glossolalìe quando sono in stati
particolari di benessere, cioè sentono il bisogno di parlare senza dire nulla.
La glossolalìa non ha funzioni cognitive bensì altamente emotive e funge da
meccanismo di alleggerimento delle tensioni psicologiche. La glossolalìa è un
tipo di tendenza alla trasgressione della comunicazione linguistica, per la
quale sono esaltati i puri valori fonici del significante a scapito della
codificazione linguistica corrente. La g. non è mera ripetizione o balbettìo ma
un discorso distinto e ben preciso che appare diviso in unità di dizione basate
su pause di respiro e prodotte dall’uso naturale di variazioni di volume,
accento, ritmo, intonazione o melodia. La ripetizione di certe unità di dizione
o frasi melodiche e il ritmo presentano aspetti prosodici. Le cadenze di serie
sillabiche appaiono quale forma pseudogrammaticale. Ad es., scelta una sillaba,
il parlante può combinarla con altre sillabe che la precedono o la seguono a
mo’ di suffissi e prefissi, creando un facsimile di parola, illusione tosto
distrutta se si tenta di sezionare le unità di dizione che sono separate dal
respiro. I due modelli di formazione glossolalica, quello sillabico e l’altro
melodico, sono fra di loro indipendenti. All’ascolto sembra che emergano parole
costantemente alterate e questo è il carattere tipico della glossolalìa. Poiché
tali supposte parole sono incomprensibili, cioè appartenenti ad un linguaggio
ignoto, esse sono indiscernibili dalle frasi di cui sono parte. Ne risulta una
serie di variazioni consonantiche, più che di vocali, come una ripetizione
mascherata. Secondo un esponente “che parla in lingua”, la glossolalìa supera
il linguaggio normale che è contaminato dalla propria struttura grammaticale e
sintattica.
La
glossolalìa non deve essere confusa con il grammelot (v.) o con i vari tipi di
argot. Glossolaliche sono invece certe forme poetiche di avanguardia pre-dada:
di Paul Scherbaart nel “Romanzo ferroviario, io ti amo”, o di Christian
Morgenstern o di Hugo Ball, o nel “langage lanternois” di Panurge nel
“Pantagruel”. Non riterrei glossolalici certi ritmi sillabici a sottofondo
musicale come il nonsense del jazz be-bop o delle nenie africane o
afroamericane che ritengo analoghe**.
La
glossolalìa essendo un fenomeno essenzialmente parlato, non può essere
adeguatamente trascritto (come gli esempi che pubblichiamo) perché intervengono
valori quali l’intonazione, la pronuncia particolare di certe sillabe, il ritmo
ecc., tutti elementi che soltanto una registrazione audio dell’evento può
rilevare.
Forme
particolari di glossolalìa si possono considerare quei saggi di linguaggio
inventato di cui diede qualche esempio Antonin Artaud in “Pour en finir avec le
jugement de Dieu”. Nelle “Lettres de Rodez” (1946) Artaud accenna a un libro
“Letura d’Eprahì tali tete fendi photìa o fotre tudi” e aggiunge. “Avevo avuto
dopo molti anni una idea della consunzione, della consumazione interna della
lingua, per esumazione di non so quali torbide e crapulose necessità. Nel 1934
ho scritto un intero libro in questo senso in una lingua che non era il
francese ma che tutti potevano leggere, a qualunque nazionalità appartenessero…
ma non lo si può leggere che scandito su un ritmo che lo stesso lettore deve
trovare per comprendere e pensare… ma questo (il linguaggio astratto) non è
valido che scaturito d’un colpo; cercato sillaba per sillaba non vale più nulla
e non è che cenere; affinché esso possa vivere scritto, occorre un altro
elemento che si trovava in quel libro che si è perduto”. Ma, a nostro avviso,
il libro si è perduto perché non poteva non perdersi: tale è il destino della
glossolalìa che vive l’attimo fuggente di quella specie di estasi che è il
“parlare strano”.
*Il
termine Pentecoste significa il 50° giorno dalla resurrezione di Cristo. È il
giorno, secondo la tradizione cristiana, segnato dalla discesa dello Spirito
Santo sopra gli apostoli, il che determina la facoltà dei medesimi di essere
compresi in tutte le lingue (cfr. il detto popolare “avere più lingue della
Pentecoste”).
Lo
si voglia considerare o no sotto una luce cristiana, il fatto è comunque
notevole di per sé, come idea archetipa. La colomba, sotto la cui specie si
rivela lo Spirito Santo, esprime simbolicamente l’incarnazione della terza
persona della Trinità, quasi a voler significare che una sola incarnazione,
quella della seconda persona nel Cristo, non è sufficiente. Così entrambe
devono scendere in terra per completare il disegno soterico dei corpi e delle
anime. Infatti non basta la salvezza delle anime e dei corpi, ma è
indispensabile che corpi e anime “salvati” abbiano la possibilità di comunicare
tra di loro l’evento stesso della propria salvazione.
Per
un simile compito non a caso è stata scelta una creatura alata che nulla
annuncia di trascendente ma che, semplicemente, promette agli uomini di
esprimere la parola, la parola non solo umana ma ecumenica. Ed è significativo
il fatto che proprio la confessione dei Pentecostali abbia sviluppato e
coltivato il “parlare strano”, la glossolalìa quale effabilità dell’ineffabile
Verbo.
**
Un curioso ma interessante caso che riterrei di genere glossolalico è quello
offerto dalla poesia di Augusto Blotto che dal 1959 in poi ha pubblicato presso
l’editore Rebellato una ventina di grossi tomi di poesia che costituiscono un
corpus praticamente sconosciuto alla critica e al pubblico.
Quella
di Blotto è una poesia che comporta una struttura significante che però quasi
subito viene disfatta da un incoercibile impulso alla superfetazione verbale
che travolge all’interno delle strutture sintattiche la significanza del
lessico instaurando un processo prima di dissoluzione dei significati per
arrivare poi a un trascoloramento ognor cangiante di micro eventi semantici.
L’autore
accetta di farsi sorprendere e travolgere dal flusso di un magma che è al
contempo eufonico e di stravolgimento semantico quasi fosse una Pizia invasata
dal dio dei significanti.
Figure 68 e 69
grammelot
Emissione
di suoni simili, nel ritmo e nell’intonazione, a espressioni di discorsi in una
lingua, ma senza la pronuncia di parole reali, che caratterizza la recitazione
farsesca o comica. Si sviluppò nel 1600 con la Commedia dell’Arte italiana in
quanto gli attori, dovendosi esibire in vari paesi europei, avevano necessità
di adeguarsi in qualche modo alla parlata locale. Esempi moderni: ne “Il
dittatore” di Chaplin i discorsi di Adenoideo o in certe farse di Dario Fo. Fra
i bambini il grammelot è spontaneo come forma di imitazione del discorso degli
adulti. Per molti aspetti, sia tecnici che spettacolari, il grammelot è parente
stretto della poesia sonora. Così Dario Fo ne parla: “Grammelot è un termine di
origine francese coniato dai comici dell’arte e maccheronizzato dai veneti che
dicevano “gramlotto”. È una parola priva di significato intrinseco, un
papocchio di suoni che riescono egualmente a evocare il senso del discorso.
Grammelot significa appunto gioco onomatopeico articolato arbitrariamente, ma
che è in grado di trasmettere, con l’apporto di gesti, ritmi, sonorità
particolari un intero discorso compiuto. In questa chiave è possibile improvvisare,
meglio, articolare grammelot di tutti i tipi riferiti a strutture lessicali le
più diverse. La prima forma di grammelot la eseguono senz’altro i bambini con
la loro incredibile fantasia quando fingono di fare discorsi chiarissimi con
farfugliamenti straordinari che fra di loro intendono perfettamente. Ho
assistito a un dialogo tra un bambino napoletano e un bambino inglese e ho
notato che entrambi non esitavano un attimo. Per comunicare non usavano la
propria lingua ma un’altra inventata, appunto il grammelot. Il napoletano
fingeva di parlare in inglese e l’altro fingeva di parlare un italiano
meridionalizzato. Si intendevano benissimo. Attraverso gesti, cadenze e
farfugliamenti variati, avevano costruito il loro codice”. (D. Fo, “Manuale
minimo dell’attore”, 1987).
iato
(apertura)
Figura
metrica: incontro di due vocali che si pronunciano separatamente, in fine e in
principio di parola: “idea, viale, riecheggiare”. Contrario del dittongo.
iconismo occulto
Ovvero
carmi figurati che non sono tali scopertamente. È il caso del madrigale
“Rapisce i cori e l’alme” del Marino “Lira” che a ben guardare consta del
profilo d’una mano le cui dita fanno le corna, le corna a un altro poeta,
l’odiato Stigliani; oppure del Frugoni (Cane di Diogene) una poesia che ha per
tema il tempo e che raffigura una chiave.
Figure 73 e 74
ideogramma
Carattere
grafico corrispondente a un’idea. Gli ideogrammi della scrittura cinese, dei
geroglifici egizi. Ideogrammatico è detto il sistema linguistico in cui i
grafemi fanno riferimento ai morfemi, rappresentando idee, nozioni e simili.
impresa
Consta
di un disegno, stemma, che comunica una parte del messaggio e di un enunciato
linguistico che ne comunica l’altra, il motto. Il senso dev’essere ricostruito.
Nella sua strutturazione, l’impresa è composta di due significanti ellittici
che, accostati, danno un significato che non avevano nei rispettivi contesti.
Figura 75
intercambiabili, versi
Permutazione
di blocchi linguistici soprasegmentali (al minimo, la strofa) entro il corpo
del discorso. Condizione è che ciascun verso contenga un enunciato compiuto e
quindi sia indipendente dagli altri. E dunque ciascun verso può cambiare posto
in qualsiasi parte del componimento e solo le combinazioni delle rime possono
impedire alcune trasposizioni.
“Pensa
prudente lo tempo futuro / Maturo senno amor iusto dispensa / Sicuro prince suo
stato ripensa / Prepensa suo poder sagace puro / Immensa volontate schiara
oscuro / Duro rivolve qualità condensa”. (Gidino di Sommacampagna, “Trattato
dei ritmi volgari”, riediz. Bologna, 1870).
Figure 77 e 78
interiezione
(interposizione)
Parte
invariata del discorso costituita da un’espressione intercalata nel discorso,
senza legami grammaticali col testo, esprimente dolore, gioia, ira, ironia,
dubbio ecc. Le interiezioni possono essere semplici o composte o improprie: le
semplici “ah! ahi! eh! ehi! oh!” ecc. oppure “olé! deh! urrà!” oppure parole
come: “magari! càpperi! càspita! bene!” ecc. Le interiezioni composte sono
formate da parole composte: “ahimè! orsù! suvvìa! perbacco!” ecc.. Le
interiezioni improprie sono formate da più parole: “all’armi! che guaio! dio mio!”
ecc.
Il
valore dell’interiezione si comprende dal contenuto, dal tono della voce, dalla
mimica di chi parla. È la parte del discorso più prossima alla musica, la quale
è costituita da sintesi di interiezioni tonali, inflessioni, accenti.
Paradossalmente, ma non poi tanto, la musica si può considerare uno sviluppo
abnorme dell’interiezione, svincolata da un discorso linguisticamente ancorato
alle leggi grammaticali e sintattiche. In realtà l’interiezione si declina e si
coniuga col tono della voce e colla mimica del parlante (si pensi alla mimica
dei direttori d’orchestra).
intermedia
Teoria
concepita da Dick Higgins, esponente del movimento Fluxus. Higgins prende atto
della situazione dell’arte contemporanea che risulta da un eccedere delle varie
discipline artistiche una nell’altra. Si creano pertanto continui sconfinamenti
tra musica, pittura e poesia, tra musica e mimica, danza, cinema, tra mimica e
poesia (poesia ginnica) e così via. Questa teoria ha molti punti di contatto
con quella di “poesia totale” proposta da Adriano Spatola nel 1969 per la quale
la poesia tende a inglobare tutte le altre arti o, viceversa, ciascuna di
queste reagisce allo stesso modo. Queste speculazioni, che rispecchiano la
realtà d’oggi, devono essere tenute distinte dalle teorie ottocentesche di
“fusione delle varie arti”, come quella wagneriana di spettacolo totale, in
quanto gli artisti contemporanei non aspirano tanto a una visione esteticamente
totalizzante quanto a una serie di ricerche all’interno delle varie discipline,
ricerche che rivelano aspetti inesplorati o quantomeno obliterati della loro
consistenza effettiva. Ad esempio, la visualità e la musicalità della parola
(poesia concreta e sonora), la danza come musica del corpo (l’event), lo
happening come intersezione tra pittura, musica, mimica ecc.
Figura 76
interrogazione retorica
Artificio
per cui si rivolge una domanda non per avere risposta, ma per affermare con
maggior forza la propria opinione: “forse che la Terra non è rotonda?”; “io,
fare una cosa simile?”.
ipallage
(commutazione)
Figura
sintattica per cui si inverte la relazione tra due parole: “la fiera di Giunone
ira e gli sdegni”.
iperbato
(superamento)
Figura
sintattica per cui si muta l’ordine naturale delle parole del discorso per dare
maggior rilievo a quelle di esse su cui si vuole attirare l’attenzione del
lettore: è una costruzione inversa e può assumere la forma dell’ipallage o
dell’anastrofe (v.).
iperbole
(dismisura)
Figura
retorica per la quale, volendo ottenere particolari effetti, si altera,
esagerandola, la verità della cosa: “ha una forza che sposterebbe le montagne”;
“forte come un leone”; “corre come il vento”.
Iper-rima
Luigi
Groto condensa 56 rime nel sonetto “A un tempo temo e ardisco” “Rime”, 1557,
mentre Lodovico Leporeo (1582-1655 circa) concentra le rime d’uno stesso suono
sulla linea orizzontale del verso, sino a tre rime nello stesso verso.
Figure 79 e 80
ipotiposi
(abbozzo, schizzo)
Figura
retorica di sentimento per cui si rappresenta molto vivamente un oggetto, un
animale o una persona così che si abbia quasi l’impressione di vederseli
davanti agli occhi: “Ed el’ mi disse: Volgiti; che fai? / vedi là Farinata che
s’è dritto: / dalla cintola in su tutto il vedrai”. (Dante, Inferno, IX,
31-33).
isocolo
(punto eguale)
Eguaglianza
dei membri del periodo che si corrispondono per lo stesso numero dei vocaboli.
isomorfismo
Relativo
a composizioni tra loro analoghe.
isopsefici, versi
Versi
in cui la somma dei valori numerici delle lettere dà un risultato uguale per
ciascuna di esse. Nell’anagramma le variazioni permutazionali di un solo
programma sono isopsefiche.
iulchici, versi
(aperti)
Versi
inzeppati di particelle linguistiche relazionali che non hanno alcuna funzione
semantica: “tu in me ita es, hem in te at ego et te hic tam ego amo”.