LA FIGURA DEL LABIRINTO
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Intendiamo delimitare lo studio della figura del labirinto verbale al periodo manierista – barocco, un periodo di profonda crisi nella cultura rinascimentale, che costringe a considerare il mondo come labirinto nel cui enigma amleticamente ci si perde.
Il padre gesuita Ivan Nieremberg nella “Curiosa y oculta filosofia” (1643) ricorda che “Plotino chiamò il mondo poesia di Dio. Io aggiungo che questo poema è un labirinto che in ogni parte si legge… un panegirico di mille labirinti”. (fig. 1)
Gustav René Hocke ne “Il mondo come labirinto. Il manierismo nell’arte europea dal 1520 al 1650” sottolinea l’importanza nella metafora dello specchio che nel barocco si converte in icona allucinante della morte o del tempo e tramite lo specchio il mondo si moltiplica e si ricombina”. Hocke porta ad esempio il celebre autoritratto con specchio convesso del Parmigianino come prototipo del manierismo europeo.
L’idea della transitorietà di ogni valore e dello smarrimento ci porta all’immagine del sogno e del mondo visto come un teatro, tant’è che il barocco è sinonimo di teatralità ed è il secolo del gran teatro spagnolo, elisabettiano e francese: come disse Diderot “le cose sono al contempo dette e rappresentate”. Non per nulla il rapporto parola – immagine negli emblemi dell’Alciati ebbe sì gran fortuna. Così pure si attua la visualizzazione della parola tramite una serie di artifici – acrostico, palindromo, anagrammi, calligrammi, figura eco, rapportatio – fra i quali il labirinto verbale non è fra i meno coltivati.
In origine probabilmente il labirinto era una struttura architettonica composta da un complesso sistema di camere e di intricati passaggi tali da rendere difficoltosa l’uscita. L’immagine più comune del labirinto è quella di un ordine di percorsi a vari gradi di complessità, solo uno dei quali è quello esatto, e pertanto noi siamo spinti a cercare il motivo per cui il labirinto è stato costruito. Il labirinto è una struttura sia fisica che simbolica e secondo alcuni studiosi le forme labirintiche si troverebbero incise su pietre sin dal secondo millennio a. C., dal Caucaso all’India all’Indonesia. Erich Neuman pensa che il labirinto sia un simbolo archetipico che giocò un ruolo importante nelle antiche società.
Il labirinto può essere naturale – grotta o altro tipo di cavità – o artificiale e come tale può essere concepito quale castello, sistema di fortificazione, palazzo, tempio, catacomba. Alcuni fanno derivare l’idea del labirinto dall’oscurità di una caverna, dando al simbolo un carattere ancestrale legato alla terra e al toro.
Lo si può considerare altresì un sistema di spirali che ci porta all’immagine greca del meandro. La spirale, in quasi ogni cosmologia, indica il nesso dinamico fra il micro e il macro cosmo, ovvero l’idea del movimento nella dialettica tra forze centripete e centrifughe. (fig. 2)
Alla spirale si riferisce pure il paradigma di percorso misterico, danza rituale per il conseguimento di una meta. Il movimento è il fattore principale che presiede alla costruzione dei labirinti verbali. I più noti sono iscrizioni circolari chiamate trappole del diavolo, cioè formule magiche scritte a spirale in direzione del centro ove il demone viene accalappiato.
Circa l’etimologia della parola, si pensò al grande tempio in Egitto a nord di Hawara nel Fayum, di cui nel 1888 Flinders Petrie scoprì le fondamenta grandiose: dodici cortili e tremila camere, tempio costruito sotto Amenemhet III (dodicesima dinastia, 2300 a. C.). La parola labirinto, tradotta dall’egizio, significherebbe “tempio all’entrata del lago”.
Si pensò pure al termine “labrys”, in greco ascia a doppio taglio tipicamente cretese, oppure a “Labrainto” parola caria per labrys, oppure ancora “labra”, originariamente caverna.
L’antichissima danza detta delle gru o danza di Arianna è descritta in molti testi (Plutarco, “Vita di Teseo”) come danza consistente in numerose piroette ad imitazione delle svolte del labirinto.
Il labirinto poetico, nel periodo magneristico barocco, fu teorizzato da un certo numero di letterati fra i quali Juan Diaz Rengifo, autore della “Arte poética española” (1592) che ebbe ben dieci edizioni; poi dal portoghese Manuel de Faria e Sousa, autore della antologia “Fuente de Aganippe” in due versioni 1627 e 1646; poi ancora dal gesuita Caramuel de Lobkowitz, autore del “Primus calamus ob oculos ponens metametricam…” (1663 – 1668).
Il labirinto poetico può essere distinto in tre principali tipi: i labirinti di versi, di lettere e i labirinti cubici o cubi.
Labirinti di versi
I labirinti di versi possono essere figurati oppure scritti in forma di poesia lineare. Di quest’ultimo tipo potremmo annoverare un certo numero di testi che trovano il loro capostipite nel carme XXV di Optaziano Porfirio, che, ad essere terminologicamente precisi, è un proteo (vedi glossario, voce “proteo”), cioè costruito con una serie di permutazioni partendo da un testo base di quattro esametri. È un testo di singolare modernità, come lo è il “Labyrintho, queixando – se do mundo” di Luis Vaz de Camões (in “Rimas”, 1595), costituito da cinque strofe di dieci versi ciascuna. Il meccanismo di questo poema labirintico consiste nella ripetizione dei versi secondo questo schema: al primo verso della prima strofa segue il primo della seconda e così via; in una seconda variazione, ai primi cinque versi della prima strofa seguono i primi cinque versi della seconda strofa, ecc… Ma tutto il testo base può essere sottoposto ad altre analoghe variazioni. Si tratta infatti di permutazioni di versi, anziché di parole, come invece nel testo di Porfirio. (fig. 3)
La figura del labirinto si intreccia dunque con tecniche basate sulle “Artes combinatórias” che risalgono a Raimundo Lull, poi a Kircher e al grande matematico Leibnitz e sulla idea della pluralità di letture possibili di un testo.
I due esempi di Porfirio e Camões sono esempi di labirinti di versi o di parole non figurati ma possono essere pure figurati se i versi o le strofe sono trascritti su una superficie quadrata o rettangolare in modo analogo, mutatis e mutandis, alle intavolature musicali cinque-seicentesche per liuto, organo, cembalo e simili.
Uno dei primi esempi è del portoghese Fernão Alvares do Oriente (in “Lusitánia Transformada”, 1607) le cui possibilità di lettura sono non meno di 5500, potendo leggersi in senso recto, contrario, in diagonale, saltando come negli scacchi la mossa del cavallo e così via o secondo apposite istruzioni. (fig. 4)
Un altro tipo di labirinto è “Il labirinto metrico” forse di Luis Nunes Tinoco (fig. 5), una intavolatura la cui lettura deve partire dal centro, “Carmine concelebret”, in diagonale, verticale, orizzontale, ecc…, ma non a specchio. L’autore ne fissa il numero di letture in 14.996.480 combinazioni. Questo labirinto è da ascrivere alla categoria dei labirinti figurati.
Ecco appunto l’esempio del labirinto di anonimo “al modo de el juego de el axedrez”, costruito da venticinque strofe di cinque versi ciascuna, le cui letture, seguendo man mano tutte le direzioni assomerebbero a 5050. (fig. 6)
Di Manuel de Faria e Sousa è il labirinto sopra il nome di Isabel, di cui diamo pure la lettura lineare a strofe di quattro versi ciascuna, interessante in quanto tutte le strofe sono tautogrammatiche. (fig. 7 e fig. 8)
Labirinti di lettere
I labirinti di lettere possono essere a forma di croce oppure quadrati. Se sono a forma di croce, la lettura può essere a specchio o partendo dal centro verso destra, sinistra, verso l’alto o il basso. Il testo è distribuito o simmetricamente per le quattro sezioni della figura a specchio oppure con quattro testi differenti ecc… (vedi esempio di Venanzio Fortunato in “Versus intexti”).
Se è a forma quadrata la lettura del labirinto è analoga a quella del labirinto a croce, ma la distribuzione del carme può anche essere fatta con due testi disposti per angoli diversi, suggerendo una piramide di base quadrata o una losanga. (fig. 9)
I labirinti di lettere possono pure avere altre forme come questo “sonetto acrostico sferico” (fig. 10) dedicato alla Regina Maria Teresa d’Austria, autore Frei Francisco da Cunha (“Oraçam Academica Panegyrica”, 1743).
Labirinti cubici
I labirinti cubici sono in genere a forma quadrata o rettangolare (fig. 11). Il verso iniziale, e unico, viene ripetuto con successivi sfasamenti, come se fosse scritto a spirale su un cilindro rotante, per cui la forma grafica del verso cambia a poco a poco nel suo contrario. Il testo “Entrata di Josè Trionfante”, di anonimo portoghese del 1600, assume una connotazione dinamica, l’occhio percependo un testo che si muove, una vera entrata trionfale (fig. 12).
Ancor più evidente è l’effetto cinetico del labirinto probabilmente di Luis Nunes Tinoco (in “Oraçam Academica Panegyrica”, 1743) che reca il sottotitolo “alius difficilisimus III” a indicarne la complessità (fig. 13). È la lettura frontale di un augurio alla Regina “Maria Theresa, felices annos”, partendo dalla ‘F’ centrale, un gioco visuale singolarissimo in cui la figura di un cubo formato dalle lettere alfabetiche, si deforma in senso ‘cubista’ ante litteram, di un cubismo per di più dinamico.
E veniamo all’epitalamio figurato portoghese dedicato al marchese Luis de Castro e alla duchessa Joana Perpetua de Bragança, recitato dall’autore Jeronimo Tavares Mascarenhas de Tavola (1738) (fig. 14). Il testo visuale si presenta come un ventaglio a finissimo ricamo verbale. La lettura è a percorsi fissi ma anche opzionali. I percorsi fissi sono stabiliti dai nomi degli sposi in caratteri maiuscoli: “Joana” partendo dal sole centrale verso l’esterno mentre “Luis” si legge dall’esterno verso il centro, un esempio di prodigiosa invenzione e capacità di dominio delle forme. (fig. 15)
Moltissimi carmi di questo tipo giacciono negli archivi spagnoli e portoghesi (fig. 16). Possiamo aggiungere che siffatto gusto stilistico corrisponde in certo qual modo al sistema delle variazioni nell’ambito del tipo di musica contrappuntistica, un genere di musica per gli occhi, di poesia optofonica.
Una ulteriore variante è il labirinto a forma di spirale come quest’esempio di Johann Casparus Zetsching (PAN Library di Gdánsk, Polonia, 1666) (fig. 17). I versi sono disposti a raggi partendo dall’esterno verso il centro e reggono i tratti spiraliformi che si sviluppano man mano in senso contrario dal centro verso l’esterno.
Un caso a parte è costituito dal labirinto di Yan Amos Komensky (1592-1670), filosofo moravo che ne “Il labirinto del mondo e il paradiso del cuore” (fig. 18) ci dà un’immagine labirintica della città del male. Il pellegrino in cerca della verità ne raggiunge il centro per scoprirvi il demonio: “Ritorna sui tuoi passi verso la casa del tuo cuore e chiudi la porta dietro di te”. Questa via è figurata su una tavola opera dell’abate A. Gordonowski. Le parole “a Paolo Pluto decedit dictis arena” significano la vittoria sul mondo. Curiosamente la figura è un labirinto, ma pure un raro esempio, per quel periodo, di versus intexti, e come tale, non ha nulla del dinamismo dei labirinti figurati.
Scrive Dick Higgins (“Visible language” 1986) che “le metafore delle verità segrete nel periodo manieristico barocco diventano verità estetiche”. Ad esempio, una composizione ove non compaiono elementi verbali, sostituiti da immagini – cuori, cerchi, rose, pentagrammi – come questa del Caramuel (fig. 19) (in “Metametrica”) può intendersi pure come imitazione dei diagrammi cabalistici o istruzione per comporre labirinti.
I gesuiti dedicarono molta attenzione alla metafisica del linguaggio e del simbolo e gesuita fu Juan Caramuel de Lobkovitz (1606-1682), autore del “Primus Calamus ob oculos ponens metametricam…”, prima edizione 1663, seconda 1668, per brevità conosciuta come Metametrica, che non solo è il più clamoroso caso di poesia figurativa in Italia, ma anche la fonte più ricca di notizie sui poeti iconici italiani come scrive Giovanni Pozzi (“La parola dipinta”): “Caramuel apparteneva a quell’internazionale ecclesiastica che … occupò l’Europa cattolica svolgendovi funzioni politiche, pastorali ed erudite. La corporazione fu tutto per gli uomini che la formarono: cattedra, patria e chiesa… non legati né a nazione né a casa, ma indotti da quella che in linguaggio monastico si chiama ‘obbedienza’, a spostarsi con frequenza e su distanze che stupiscono ancor oggi, questi apolidi di fronte al mondo, erano naturalmente portati verso una dottrina enciclopedica, perché non chiusa entro confini disciplinari, ed estemporanea, perché tesa all’intervento rapido e immediato sulle questioni più dibattute. La loro lingua era il latino, pur essendo comune a tutti loro un poliglottismo esteso anche alle lingue orientali… il loro punto di riferimento era la teologia… un complesso di conoscenze che … si sostanziava di una specie di pansofia tesaurizzante le novità del moderno naturalismo con le anticaglie del pitagorismo, della mnemotecnica, della cabbala, dell’ermetismo e del lullismo. La dottrina legata a catena è uno dei tratti che li distinguono: chi si trova in possesso di un solo anello possiede tutta la catena… le unità di ogni disciplina sarebbero interscambiabili e perciò l’enciclopedia si potrebbe facilmente dominare mediante il controllo delle combinazioni… donde l’interesse acuto per discipline apparentemente minori, come la metrica, che in una mente siffatta diventò infallibilmente ‘Metametrica’ cioè arte che, fondata sulla matematica, deve identificare schemi prosodici e ritmici astratti, i quali, una volta rivestiti di parole, possono moltiplicarsi in una quantità enorme di versi concreti. (G. Pozzi, cit.)
Un altro personaggio simile e coevo fu il gesuita Athanasius Kircher (1601-1680) le cui raccolte di materiali di studio costituiscono oggi il museo kircheriano presso il Collegio Romano.
La “Metametrica” è pure un’ampia raccolta di testi di vari autori, oltre che dello stesso Caramuel, e ciò non è poco dal punto di vista sia storico che antologico.
Una delle novità formali del Caramuel consiste nell’introdurre fra le maglie delle lettere che formano il diagramma, un testo intermedio, impostando una specie inedita di carme intessuto. Nel carme dedicato a P.F. Passerini (tavola XVIII), la formula iniziale “Ama Fama” è scritta lasciando tra una lettera e l’altra spazi di uguale dimensione, riempiti di materiale verbale così da produrre un esametro (fig. 20).
Così pure (fig. 21) il carme con formula “Iure Merui”. Così pure la tavola XXII a Basilio da Aerea con la formula “aerea” oppure la tavola XXIII all’abate di Altemburg, formula “Sua Laus” o la tavola XXI, formula “Suus”, ecc…
Ma l’interesse precipuo del Caramuel, che lo colloca fra i momenti più significativi della poesia figurata, è riassunto nella struttura del carme permutazionale, in ciò ricollegandosi con le formulazioni coeve ispano – portoghesi sull’idea del labirinto permutazionale.
Al Caramuel non interessava tanto la realizzazione testuale, quanto la costruzione di una macchina che permutando gli oggetti del discorso, fabbricasse automaticamente una serie di carmi. Di qui il suo interesse per le strutture come il “cubus metametricus” (fig. 22) a tre dimensioni, una gabbia di fili di ferro atta ad ospitare un carme intercambiabile, oppure per schemi prosodici come questo modulo per un carme cilindrico (fig. 23) o quest’altro schema di carme di tipo circolare (fig. 24) o ancora questo schema di intavolatura per comporre sonetti interscambiabili (fig. 25). Aggiungiamo (fig. 26) questo schema di poesia permutazionale con 71 possibilità di percorsi.
Possiamo dunque individuare il fulcro e gli interessi di questo singolare autore nella ideazione di moduli di permutabilità atti a ricreare il cosmo partendo dalla parola.
La permutazione
La permutazione è uno degli ordinamenti totali che si possono dare su un insieme di ‘n’ elementi. L’applicazione di questo modello nell’ambito artistico risale a ben prima, all’arte musicale quattrocentesca dei cosiddetti formalisti fiamminghi, creatori della tecnica contrappuntistica, dai quali, scendendo per gli rami, si giunge a Bach.
Ma rimanendo al periodo rinascimentale, troviamo un analogo caso sorprendente nella olandese musica per campane con tavole che ci danno il numero di possibili cambi di campana, e in base a diversi insiemi, ove, ad esempio, col numero di dodici campane, abbiamo 479.001.600 numeri di cambi per un tempo totale di 37 anni e 355 giorni.
Un conoscente del Caramuel è autore di un carme permutazionale circolare (Niccolò da Lucca, in “Cynosura Mariana”, 1655) che fu poi ripreso e perfezionato dal Caramuel (fig. 27).
Di Pascasio di San Giovanni è il carme cubico (“Poesis artificiosa”, 1674) di notevole eleganza stilistica. (fig. 28)
Un carme permutazionale a forma di labirinto è di J. Roch von Hegnan (1748) (in “Gaistlicher Irr-Garten”, 1742). (fig. 29)
La figura del labirinto si presta pure a eleganti variazioni calligrafiche come questa di Johann Neudörffer il Vecchio (1497-1563) (fig. 30). Oppure quest’altra di anonimo, un labirinto scritto per lo scoppio della guerra dei trent’anni (1620) anche questo “Irr-Garten” (fig. 31).
Altro labirinto è questo di Johann Agricola (1530-1590) stampato a Wittemberg nel 1568 (fig. 32). O quest’altro ancora di Mathias Quad (1557-1609), labirinto spirituale databile al primo decennio del 1600 (fig. 33). O quest’altro ancora di E. Kieser (1612) un labirinto spirituale ovvero una preghiera in versi di autore ignoto che comincia al centro e termina a sinistra in basso (fig. 34).
La figura del labirinto riappare in epoca contemporanea con le “Rund Scheiben” (ruote verbali) del tedesco Ferdinand Kriwet (1962), serie di circoli concentrici che da una saturazione centrale passano man mano ad uno sfoltimento periferico (vedi glossario, poesia concreta).
Un labirinto cubico è invece il “meditation III” di Emmett Williams, un percorso alfabetico partendo dalla vocale ‘a’ centrale. (fig. 35)
Infine c’è una figura che fa della parola la matrice in cui si verifica la combinatoria di varianti linguistiche proprio partendo dalle lettere in essa contenute, ed è l’anagramma. L’anagramma scioglie la parola, cambiando la disposizione delle lettere per ottenere altre parole ed è l’applicazione metodica della permutazione nel corpo stesso del vocabolo. È la metamorfosi del verbo e lo manipola nell’assoluta arbitrarietà del nome per rapporto al denominato. L’anagramma scompone il linguaggio e lo decompone alterandolo nei suoi elementi fonematici, sino a distruggerlo nella perdita della propria identità, nelle parole senza senso; é la figura dell’occultamento all’interno del vocabolo come lo è il labirinto sul piano iconico esterno.
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