Meglio il guitto di Luigi Pasotelli

da La caverna delle voci di Antonio Agresti

Stéitotòr tràctora di Claudio Annaratore

da Liliana ou la Poésie di Ferruccio Cajani

da Storia della poesia sonora di Arrigo Lora Totino

da Il colore in bocca di Alberto Mari

da La bella e la bestia di Giulia Niccolai

 

 

 

 

 
Meglio il Guitto di Luigi Pasotelli


Forse non a torto molti ritengono la sacralità della poesia e della grande poesia simile a quella che promana da un'iscrizione tombale, sigillata dal silenzio; così all'attuale poeta sonoro si rimprovera un ruolo scioccamente e penosamente dissacratorio; o di essere afflitto da imbecillità esibizionistica, comunque incapace al recupero del valore poetico, tutto proteso a esteriorizzare quel che oggettivamente non può essere esteriorizzato: l'ineffabilità fonica del verso, l'inesauribilità del senso, la polivalenza o polisemia della parola poetica dato che la voce è strumento sostanzialmente umano o troppo umano, per essere specchio dell'interiorità, non in grado in breve di discendere in certi abissi o ancora meno d'elevarsi ad altezze troppo rarefatte. Meglio dunque il guitto. Ma il poeta sonoro è ben consapevole di accettare la voce come suo strumento primordiale, ma autentico, senza vezzi estetici, del suo essere poeta. Parla, e subito qui occorre dire che non è mellifluo cantore, né la sua è dolorosissima lamentazione (non appartiene all'area dei dicitori o della dizione), ma parla, per essere in primo luogo presenza. Corporeità nel senso più pieno e pesante del termine. Che questo "parlare", da intendersi come fedeltà al "suono verbale", che questo stare in piedi e non seduto (come il poeta accademico invitato a concedere agli auditori almeno alcuni dei suoi versi... ) per meglio far vibrare il corpo e le corde vocali, che questa sua sapienza "emotiva" a caricare le parole di nuove informazioni (e solo oggi l'emotività è stata restituita alla funzione informativa, con la riscoperta dei valori intonazionali e di scansione del discorso poetico) tutto ciò sia solo in ragione di una penosa velleità esibizionistica, sarebbe negare (o abolire) che il Poeta sonoro abbia diritto al suo corpo; che per non fraintenderci si pone come epicentro di ben altro Corpo. Chiamatelo pure corpo sociale, collettivo, corpo dell'altro o di chi volete. E' noto che ogni arte porti in sé, in nuce, un'irrefrenabile volontà di rappresentazione pura che se censurata annulla la sua stessa bellezza; più intelligentemente identificata nel valore o intensità di Informazione. Così ampliata la nozione di "spettacolo" non può essere respinta moralisticamente anche se d'altra parte esiste una spettacolarità di intrattenimento che spesso rinvia la performance agli spazi propri degli animatori di villaggio turistici, sia pure "internazionali". Ma questo, come dire, è altro problema. Il poeta non solo sonoro corre di certo questo pericolo, ma il "sonoro" ha il merito di correrne molti altri, come dire, più decorosi, lavorando infatti lungo i confini vaghi, nelle zone di demarcazione sempre più labili fra arte e arte; zone tremendamente insidiose, come ad esempio quelle fra il regno del Suono verbale (lobo cerebrale sinistro!) e quello dei Suoni restanti - la Musique! - (lobo cerebrale destro), in effetti molto debole in molti che si sono avventurati un po' troppo ingenuamente nello sperimentalismo musicale che trasforma la poesia in noiosissima ridondanza della verbalità; uguale segnale di pericolo vale fra Grafica (spesso di recupero) e la Scrittura poetica (vedi il bel saggio di Pozzi sulla "parola dipinta" che saggiamente lascia in sospeso il giudizio sulla "attualità"). Vi sono poi i "media" e tutta la nuova tecnologia elettronica che non è certo facile da piegare (mentre un Carmelo Bene poeta sonoro "di rimessa" ne esce fin troppo trionfante, un non meno scaltro Attore, come Fo, poeta ne esce fortemente penalizzato. Il poeta sonoro ha quindi per concludere il vantaggio di porsi sia pure in prospettiva come nuovo Regista di una totalità praticamente inesauribile di "segni". I testi (concetto ancora tutto da chiarire e ampliare) esistono finalmente oltre la "pagina". In altre parole il Poeta sonoro può oggi essere fantasma scomodo se si avverte che il recupero della Parola è anche e forzatamente recupero autentico del corpo e di quel Corpo immenso, indelimitato e tentacolare (grottesco) che gli è proprio e non solo della voce scioccamente intesa come imbuto canoro e non come voragine del Senso in cui il Poeta deve saper discendere, se vuole per davvero "smarrirsi". (1) Inutile opporre la grinta del Moralista depositario di tutti i valori. Ben venga lo "spettacolo" (trappola della coscienza del Re) e quindi il Poeta - poco importa quale (sonoro o lineare, distinzioni ridicolmente amministrative), capace però d'essere "Attore" della propria scrittura, del proprio Testo che, si sa, anche se distrutti e frantumati - esattamente come accade per la sacra Parola pur infranta in modi infinitesimali o atomicamente polverizzata - sempre ineluttabilmente "magicamente" si ricompongono, ma per nostra fortuna, in nuove dimensioni e in nuove Prospettive che sempre più esulano dalla competenza territoriale del Critico letterario. Lo Spettacolo della Vita, il "Vissuto", resta il grande dato ossessivo che rende viva la Parola poetica, il Teatro e l'Attore, ma in zone sempre più imprevedibili e fuori dai limiti delle repressive classificazioni sinora utilizzate. Occorre coraggio per opporsi al temibile silenzio mortuario della Nuova Restaurazione in atto ovunque. Ritorna (come d'obbligo) l'esempio di Artaud che aggredì con le sue urla non solo la Radio Francese Gaullista ma l'intera Cultura che ancor oggi si oppone alla sua verità più disarmante: "Se sono Poeta e Attore non lo sono per scrivere o declamare poesie ma per viverle"! e, anche: "Quando recito una Poesia non è per essere applaudito ma per sentire corpi d'uomini e donne volgersi dalla ottusa contemplazione del budda seduto con cosce ben sistemate e sesso gratuito all'Anima, cioè alla materializzazione corporea e reale d'un essere totale di Poesia". Il senso inattaccabile dello Spettacolo resta legato a questa verità. Farsi corpo unico con gli altri, e non straziante straziato San Sebastiano del Verbo: che è proprio in questa vibrazione del Corpo al Corpo che la voce "umana" può ritrovare la sua originaria funzione di Matrice della Parola viva. Quanto a quella caparbiamente poetica può essere, oggi, restituita in blocco alla letteratura, e al suo patetico valore "testamentario".

(1) Mi piacciono le poesie degli affamati, dei malati, dei paria, degli avvelenati... e le poesie dei suppliziati del linguaggio... che si perdono nei loro scritti e non di coloro che fanno mostra d'essere perduti per meglio dispiegare la loro scienza sia della perdita, sia della scrittura (A. Artaud)

da Pasotelli Serraglio

da La caverna delle voci di Antonio Agriesti

Che il mondo sia una caverna, lo si sapeva. Che sia, oltre che una caverna d'ombra, anche e soprattutto una caverna di voci e echi e di echi-di-echi - insomma di ombre acustiche - di inaudite risonanze, torna a ricordarcelo, mezzo sciamano e mezzo domatore di circo, col suo insolito Serraglio, Luigi Pasotelli. (…) Ecco allora la lingua "umana" fendersi ed aprirsi ad accogliere in sè, nel proprio accento e nel proprio senso, senza prevaricazione, tutte le altre "lingue", gli altri "dialetti" e idioletti della Natura, le voci, i suoni, i rumori, gli echi, i fruscii, le grida, i versi, i tuoni, gli scrosci - insomma tutto il multanime, fremente favellio e rumorio del Mondo, echeggiante e risonante nella Caverna primordiale in cui tutte le voci compongono ancora un solo Canto; e in tutti i suoni si riverbera ancora il Protosuono originale e l'affabularsi insieme di tutta "questa bella d'erba famiglia e d'animale" (Foscolo); come se mai fosse stato consumato il crimine (camitico, nel mito di Noè) che ci ha divorziati dal Cielo e dalla Terra; e dalla creaturale, armonica Fraternità.

da Pasotelli Serraglio

Stéitotòr tràctora di Claudio Annaratone

" Stéitotòr tràcktora Kristüss stück kuhiaki / Ah stahl stahl stalina! / Mah mamàh galina / O stüff-stüff stufato / Eciòmcièm CèHomo / Eské skè krüsado / Bah bàbà tzarina... " (dalle Canzoni di Ratagura): impasto caleidoscopico liberamente inventato in cui alle lingue vive e morte si mescolano intonazioni e voci dialettali dal comasco al cremonese e a dialetti ignoti, o lingue come orecchiate da un emigrante, mescolanza di vocaboli, modi, assonanze, echi, strutture, realmente vivi del nostro tempo oppure morti da secoli, oppure confinati in aree linguistiche esigue e circoscritte, oppure travestiti dalla fantasia fonetica visiva dell'autore, oppure del tutto inventati, sfruttando le infinite articolazioni delle modulazioni consentite alla voce umana; questo linguaggio a mezza via tra la logicità razionale e la logicità delle pulsioni inconsce, in cui non si sa se prevalga l'angoscia dell'incubo oppure il diletto del sogno gratificante oppure il grottesco della " parodia " che sovente il sogno stesso esprime, costituiscono il risultato autonomo dell'invenzione poetica, il mezzo del suo messaggio umano e creativo. Ascoltiamoli e ci convinceremo che non si tratta di giochi o manierismi fonetici, ma una ludica istrumentazione che trasfigura e allude alla storia dell'uomo stesso, al groviglio della nostra stessa esistenza in una chiara esigenza di giudizi vissuti al limite dell'imprecazione, del grido. Naturalmente queste tavole rientrano nella variegata corrente surrealistica, ma sono presenti anche accenti di simbolismo. E insieme, e mi sembra questa un'originale connotazione, l'inconscio e gli stati onirici tendono ad evitare ogni vaghezza per assumere l'immediatezza della percezione visiva propria della veglia. Il ciclo del " Serraglio " ha come figura l'animale. E nella resa della poesia fonetica visiva di Pasotelli la complessità delle influenze è varia e molteplice: dalla classicità dei " carmina figurata " al medioevo, dal barocco, al " settecento " alla stessa contemporaneità, la Poesia visiva può vantare non solo infiniti cultori, ma anche una sua lunga e gloriosa tradizione, inclusa quella della " lingua perduta ", immaginaria, " utopistica ". Ma non è questo anche un modo per riannodarsi alla ancora più antica " favolistica " che da sempre assume i temi della condizione umana rivestendola della " maschera " animalesca? E questo miscuglio di linguaggi reali e no, inventati, desunti da tutte le epoche della " società umana " a cominciare dalle prime onomatopee in cui probabilmente per la prima volta emerse la capacità di controllo verbale della natura e della comunicazione sociale, non è anche il tentativo poetico di rintracciare la storia dell'uomo, individuandola in quel mezzo, la " parola " che è il segno inequivocabile della dignità e dell'eccellenza dell'uomo? Queste tavole del Serraglio che portano, al centro di trascrizioni circolari, un'immagine ottenuta per, spesso, sapienti " collage " che riferendosi al testo poetico ne accompagnano o ne fissano le intenzionalità segrete, a guardarle e ad ascoltarle (perché essenziale ad una totale comprensione occorrerebbe l'audio) in realtà, non sono segrete o " occulte ". Si tratta di giudizi che coinvolgono la situazione umana, sociale, gli avvenimenti, le stesse istituzioni. La " tartaruga " (Ratagura's Songs ossia " del sottoproletariato "; l'Archeopterix, ossia l'istituzione della Chiesa; Zishna, la tigre " antropofaga " ossia della fame del terzo mondo, e via dicendo. Ma perché tutto sia più chiaro si può qui solo riassumere uno dei più " taglienti " poemetti, quello della " tavola " dell'Archeopterix. Un prete, vecchio, recita una giaculatoria che documenta il suo stato d'animo smarrito e bisognoso di " difesa " del credente. Egli chiede aiuto all'Archeopterix, il mitico uccello che qui raffigura la ritualità esoterica di tutte le gerarchie sacerdotali, a cominciare da quella egizia, ma ne riceve una " beccata " feroce, mentre la voce della chiesa - o del " papa ", se volete - invoca la salvezza dell'Istituzione (Salviati Kirko!). Ciò che importa salvare non è l'anima ma la millenaria e "fossilizzata" spettacolarità dei rituali istituzionali! Il tutto, s'intende, in quella chiave di "humour" popolaresco che resta il codice di lettura dell'intero ciclo del " Serraglio ". Nel secondo, quello dei " Rebus 1/25 " l'immaginario iconico rappresenta l'interesse specifico del " racconto ": mentre le iscrizioni sottostanti, le cosiddette " spezzettature ", fatte di tronconi lessicali e terminali di parole che si uniscono alle " iniziali " di altre parole evocano una sorta di " borbottio ", sono allusioni fonetiche che accompagnano a mo' di alogico commento l'immagine, evocano il sottofondo fonico del sogno, la sua scia. Poiché queste piccole tavole, o " collage " alla maniera di Max Ernst, sono momenti di " articolazione " di un racconto che vaga e divaga stranamente, così come fluttuano, appunto, le trame oniriche. Sovente nel paesaggio talora idillico, più spesso violentato e sconvolto, si inseriscono meccanismi, palizzate, sfere, ruote, tronchi lisci e scheggiati, forbici settorie, orecchi, occhi umani sezionati, cavalli rampanti fra marosi, emblemi solari in lotta, lapilli, pietre.Tutti questi simboli punitivi e allarmanti però non rappresentano carattere inequivocabile di tragedia; ad esempio i cavalli che si dibattono fra ondate immense che travolgono una nave, non sono simboli di naufragio, ma evocano anche la rappresentazione ippomorfica degli arcaici " cavalloni ", e quindi i ricordi infantili del nostro primo incontro col " mare ". Questa la loro chiave di lettura, di decifrazione poetica. Così il paesaggio drammatico non è solo " minaccia " che incombe su tutto, noi e la natura, ma richiamo, evocazione non solo di angoscia e solitudine, ma anche e in simultaneità di catartica liberazione immaginaria. Ma non è il ritorno alla terra; nella loro precisa spaziatura prospettica, carica di significati simbolici e surreali, queste piccole tavole manifestano un bisogno di altri spazi, più che di terra di aria, di distanze o di orizzonti aperti anche se il cielo si fa di pietra e piovono pietre, si può ancora interrogarlo. La Natura certo oggi è nelle condizioni dell'occhio umano sezionato, ma ciò nonostante serba in sé l'orma della sua libertà originaria: un piccolo " sentiero " da percorrere, ai margini dello sfacelo, e della desolazione, resta una traccia della sua presenza.

(brano dal catalogo della mostra di Luigi Pasotelli alla Biblioteca Sormani di Milano 1983 riportato in Pasotelli Serraglio )

 

da Liliana ou la Poésie di Ferruccio Cajani

 

 

da Storia della poesia sonora di Arrigo Lora Totino

…Impastando con manesca violenza di corpulento fornaio, una massa di dialetti dal comasco al cremonese e di lingue vive e immaginarie. Pasotelli l'aggrevola questa massa, la intride, la dimena, la maneggia, la spiana e poi la fa lievitare con la sua roca voce longobarda che è crassa, tozza, massiccia o come dicono in Francia 'rocaieuse'. Dietro ci sono, è chiaro, lo 'zaum' di Velemir Chebnikov, le compenetrazioni verbali futuriste: da Marinetti a Balla, a Corra e Cangiullo e, ovvio, 'La veglia di Finnegan' di Joyce, ma prima ancora e risalendo, l'antica e sotterranea vocazione italica alla glossolalia: dalle farse fescennine alla commedia dell'arte".

(brano da "Storia della poesia sonora in cassette" a cura di A. L. Totino. Edizioni Baobab - Elytra R. Emilia - 5/1989 riportato in Pasotelli Serraglio)

 
da Il colore in bocca di Alberto Mari

Fine giugno, di circa sette anni fa, in occasione della chiusura del "Nuovospaziometropolitano" a Milano, fermata del metrò Gioia, da parte di un collettivo di pittori. I poeti erano stati chiamati per solidarietà a leggere i loro versi. Lo "shock Pasotelli" avviene lì. A parte Giulia Niccolai che lo conosceva in precedenza, nessuno dei presenti si aspettava da parte di quell'uomo imponente ma dall'aria inoffensiva una performance così esplosiva e sconvolgente. Luigi Pasotelli si esibiva in una scenografia congeniale: proprio nel metrò dove era ambientata "La ballata dei topi". Per molto tempo, in seguito, "ho sentito" l'andamento frenetico dei topi pendolari nel metrò e molto spesso mi è capitato di ripetere, come un motivetto in voga, le scansioni più frequenti della ballata. Il poeta è come nessuno si aspetta, inutile descriverlo: la videocassetta rende molto bene da vari punti di vista i diversi aspetti della sua espressività corporea e soprattutto di quella verbale con i suoi effetti cavernosi, simili a un orco primitivo, a un Mangiafuoco (più tecnicamente siamo nell'ambito del "protosuono" tipico della poesia sonora), nei momenti di maggior intensità fa persin temere per la sua tenuta, quasi che tanta irruenza emozionale possa franare da un momento all'altro. [...] È opportuno ricordare che Pasotelli, a differenza di molti autori contemporanei sonori, si tiene alla larga dagli espedienti tecnici (mirati unicamente agli effetti, speciali), usando esclusivamente la voce, dai toni profondi ai falsetti, alle tecniche di simultaneità, l'inventando trame di storie in cui spesso l'animale si abbina all'uomo. La sua rottura con i canoni classici espressivi rimane comunque legata alla parola poetica; guai dunque escluderlo da questo consesso, guai affliggerlo con lirismi di maniera. Forse tra i futuristi russi (specialmente Krucénych) e italiani è possibile reperire gli antenati di Pasotelli: egli stesso li cita e a volte li interpreta (ma anche Villon e Rabelais fanno parte del suo repertorio e non sono meno vicini alla sua personalità). La rosa è comunque ristretta: si tratta più che altro di preferenze e affinità che di derivazioni vere e proprie, tenuto conto che questi poeti sperimentali sono stati occultati in Italia durame il regime fascista per circa un ventennio è difficile pensare a ereditarietà in questi termini o a effetti ritardati, anche se questi ultimi si sono fatti sentire sulle nostre avanguardie degli anni sessanta, per non parlare dei successivi rigetti e riconversioni. La maturazione di Pasotelli è avvenuta spontaneamente e pur tenendo conto delle forme poetiche che l'hanno preceduto, ha creato la sua espressività in modo assolutamente libero e indipendente è la sua esperienza personale che emerge in una forma nuova che non ha niente in comune con gli epigoni delle avanguardie storiche. A voler fare a tutti i costi un paragone è probabile che il linguaggio immaginario di Pasotelli si possa accostare al "gramelot" di Dario Fo, ma si tratta solo di un riferimento, il procedimento di assimilazione e rigenerazione dell'espressività verbale è diverso: in Fo c'è la rinvenzione di un dialetto padano, mentre in Pasotelli la miscellanea dei linguaggi e le sue sintesi espresse in disgregamenti è più ampia e varia, in comune c'è l'adattamento dei dialetti e la vena popolare [...]. Dietro Fo c'è la grande tradizione teatrale italiana, Pasotelli è invece legato all'oralità ed è l'espressione di un genere poetico fuori dalle tradizioni. Egli ha coltivato inizialmente la sua passione per la poesia con i classici moderni e gli ermetici, ma anche nei più antichi fortemente innovativi e sperimentali (i già citati Rabelais e Villon), questo suo amore alla lunga si è rivelato incompleto, non gli bastava interpretare questi autori in letture occasionali. Soltanto nel dopo- guerra ha potuto intravedere uno sbocco nella poesia sperimentale, ma dovrà passare molto tempo prima che questa presa di coscienza artistica si traduca in espressività. In precedenza c'era stata l'attrazione per il teatro (vari incontri interessanti) poi la rinuncia a frequentare la "Scuola del Piccolo Teatro", come egli stesso afferma: "ero abbastanza cinico e in quel campo non ci giocavo l'esistenza... ero in qualche modo più legato al vissuto. Ho preferito tergiversare sui miei interessi artistici forse fin troppo a lungo". E quello che Pasotelli chiama "tergiversare" dura incredibilmente decine d'anni, non basta certo il suo susseguente interesse per la pittura a spiegare il suo tardo approdo alla forma espressiva che gli è più congeniale. La poesia visiva in seguito da lui sviluppata è più una conseguenza della sua espressività verbale che una derivazione della pittura. Essa infatti si concentra in forme grafiche, in una sorta di stenografia personale che visualizza i suoi componimenti e diventa a sé stante nei collage che sviluppano il suo immaginario ricuperando forme e stile diversi. "La pittura mi ha portato alla scoperta della voce - riferisce Pasotelli - e mi ha fatto render conto che i suoi valori erano fondamentali per le mie facoltà espressive". Oltre alla scoperta della voce come potenzialità poetica si configura nel lavoro del poeta l'adeguarsi alle intuizioni di uno dei massimi poeti sonori del Novecento, Raul Hausmann: "La poesia è un atto consistente di combinazioni respiratorie e uditive". Non si dimentichi inoltre che la madre di Pasotelli era una cantante e lo zio materno un musicista. Questa influenza l'ha portato a quello che lui definisce: "un canto sgraziato, una parodia del mio mondo infantile". Una sona di rivalsa antimelodica. Pasotelli non ha mai creduto alla figura dell'attore di "teatro" ma si è sentito invece vicino all'attore poeta, al guitto amletico (alla figura del "comico" che dice la verità), al limite alle espressività spontanee come le "grida" degli ambulanti. In definitiva a un linguaggio primitivo e immediato, fortemente emozionale. [...] Il linguaggio di Pasotelli è maturato nel Comasco, terra di lago, del camuno, chiuso, isolato. Da lì provengono le "u" tremendamente e compiutamente espressive di Ratagura-Atlante con "teut el mund de súra" che quando arranca si trascina a forza di "u" (il poeta cita anche "Küsa!", termine accusatorio implacabile). Dalle cupe caverne comasche, Pasotelli è passato alla natia Cremona, al fiume, in un clima più aperto e gioioso con le sue "o" continuamente variate. Il dialetto assume cosi un rilievo più esplicito della lingua, violento e categorico, è l'espressione di una realtà concreta. In quel periodo il poeta ricorda di come si sia abituato a queste forme di comunicazione, al "trascendere" ormai insito nel suo linguaggio. Prima dell'insediamento definitivo a Milano, Pasotelli ha viaggiato molto; da qui la sua conoscenza delle lingue che, unita a quella dei dialetti lombardi, ha dato luogo a un linguaggio asemantico, privo di senso immediato, la parte vitale della poesia, quella da lui inibita che sprigionatasi gli ha permesso di realizzare un teatro autonomo, quello che l'autore a suo tempo ha chiamato "teatrino sonoro" che non è cabaret e non ha certo quel senso riduttivo che molti oggi gli potrebbero attribuire; e più probabilmente rientra in una forma embrionale di là da venire, in una zona di nessuno - tra la poesia e il teatro - tra la poesia e la musica, dove lavora il poeta sonoro, tra poesia e arti visive e gestuali. Soltanto dieci anni fa Pasotelli "era pronto" con il suo linguaggio immaginario; l'ascolto di certi poemi di Adriano Spatola lo ha spinto a prendere i primi contatti, poi le cose sono maturate velocissime in termini di ricupero di tanti anni rimasti in sospeso.

da Pasotelli Serraglio

 
da La bella e la bestia di Giulia Niccolai


Salì sul palco sotto i riflettori col portamento e persino coi bocconi candidi veri di un nobile del 700 in parrucca capitato fra noi per un errore della macchina del tempo e, come se niente fosse, con una naturalezza da prestidigitatore, trasformandosi di colpo da Luigi XVI° in Danton, iniziò a recitare (?), a cantare (?), a declamare (?) con la passione di un arringa-popoli e i versi di un barrocciaio ubriaco che incita il proprio ronzino ad affrontare la salita... iniziò a donarci il suo bizetiano e picaresco Taurus & Shampuina. Così come la poesia di Luigi Pasotelli è rigore, controllo calcolato su tutti i possibili effetti prima, e cioè al momento della creazione e della stesura dello spartilo, per poter essere spontaneità, slancio e commedia del- l'arte poi, al momento della performance (in modo da emozionare e catturare il pubblico in una serabanda irresistibile), la lettura e il canto di Taurus & Shampuina, mi fecero subito pensare al felice risultato ottenuto sfruttando in modo quasi geniale le tensioni e i giochi fra due opposti. I titoli dei tre poemi inclusi nella raccolta: Taurus & Shampuina, Ratagura e The Rat's Ballad, sono chiaramente indicativi di sontuose commistioni linguistiche, di parole a tutto-tondo che hanno smesso di essere semplici emissioni di voce, fantasmi che volano e si disperano per assumere invece l'inquieta densità della materia.

01 1996 da Pasotelli Serraglio

 
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