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Note sulla poesia di Maurizio Cucchi Nota sulla poesia di Milo De Angelis Nota sulla poesia di Giancarlo Majorino Note sulla poesia di Giampiero Neri
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NOTE SULLA POESIA DI MAURIZIO CUCCHI
La poesia di Maurizio Cucchi è un tracciato di
indizi assai vicino alla ricostruzione non completa di un sogno. E, come
in ogni ricostruzione onirica avviene, anche qui è impossibile
definire la realtà del soggetto narrato. Eppure in questo procedere
letterario l’autore non è uno scrittore surrealista o sognatore,
non ricorre a simboli o figurazioni mostruose, anzi annota brevi momenti
di azioni semplici e minuti oggetti quotidiani; materiali necessari per
una descrizione fuori campo di ciò che va in scena: un dialogo
con la sua vera o presunta storia personale, identità anagrafica
del soggetto nella realtà. L'impegno del poeta è svolto
in questo continuo scorrere fitto e nell'evidente intenzione di ricostruire
le ragioni delle azioni, dei comportamenti quotidiani, e così pesare
l’indissolubile gravità della coscienza nella scelta per
il mondo. Lo scorrere dei testi ha un andamento telegrafico, più
che nel ritmo sintattico, in quell’ implicito respiro psichico e
viaggiante. Non è certo questa di Cucchi una poesia sperimentale,
neoconcreta e neanche neoromantica o del verso innamorato, ma velatamente
una scrittura “giallo-autobiografica” attraversata da un (chissà
quanto intenzionale per l'autore) occhio cinematografico. Tutto ciò
nei versi assume una nuvolosità onirica, come di chi si racconta
immerso in un torpore della coscienza più volte sospesa. I versi,
cadenzati in un continuo inciso d'apertura, sembrano stare lì a
indicare e ricercare il vero testo che manca, commentando fuori-campo
storie ordinarie e umili, intrise di autobiografismo. Un autobiografismo
che cita se stesso solo nell’avviamento del discorso, al fine di
riordinare il materiale del racconto, dei fatti, così come avviene
per la prima registrazione d’indagine svolta da un detective. Se
manca un soggeto identificabile e storico non manca però un luogo:
Milano assume ben presto la valenza di contenitore, grembo e carne, colta
nel torpore della sua recente cronaca storica e di costume in anni densi
di contraddizioni sociali, contraddizioni violente e trasformatrici del
tessuto economico e demografico. |
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La prima immagine è il lago di Garda Sarò solo un bambino, Dopo la Jugoslavia, nel luglio’41, |
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Questi racconti in Glenn non sono racconti ma piuttosto
una raccolta di tracce, indizi, immagini sfumate dall’evocazione
degli affetti e dal tempo, così come avviene per le foto d’album
di famiglia, che contengono il fiato di un passato, conservate e consegnate
alla memoria del proprio cerchio parentale. E' da quell'incontro emozionante
e disarmante con volti, sorrisi, posture, abiti e paesaggi colti per l'eternità
dei loro gesti “perduti” (eppure una volta erano vivi ), che
M. Cucchi ricostruisce il filo intimo ma non intimista di una storia umana.
Una storia che da biografia personale si fa universale, per quel bisogno
di narrarci l’avventura di esistere con un canto dimesso e pur carico
di tutta quanta la fragilità che ci unisce e ci consegna umani
e vulnerabili al tempo della storia. Ecco perché l'omaggio che
l'autore rivolge a Rutebeuf (poeta del XII sec) e a Glenn/Luigi (la figura
del padre), sono equivalenti. I1 primo viene eletto a maestro poetico
del quale si ammirano la sensibilità per lo scavo interiore e l’interrogazione
dialettica rivolta alle ragioni dell'esserci e del fare, riconoscendo
alla poesia il ruolo e la testimonianza di una conoscenza del mondo che
si radica nella propria carne: il pensiero divenuto forma può reggere
lo scavo di verità solo se sorretto da questo pathos. |
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“…Il pensiero come lampo d’istante |
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Il secondo, Glenn/Luigi, è il marchio assoluto
del nostro bisogno di amare. Amare quell'amore che si fa amare, e alla
luce dei nostri occhi si offre punto di riferimento, nella familiarità
dei nostri rapporti si fa ascolto, disponibilità, modello per i
nostri sogni, immagine necessaria per una quotidianità del mito
che tiene in noi sempre desta l'emozione dell'esperienza. Figura autobiografica
dunque che nell'agire ci insegna dell'esistenza, dei limiti della propria
umanità, consegnandoceli come un bene fatto narrazione, parole,
testimonianza di sé. |
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“…ciao, dico adesso senza più tremare. |
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Ed è infine attraverso la traccia biografica di una “etica disponibilità'”, bisogno primario dello scambio, che M. Cucchi ci consegna una poesia distante dal vuoto dell'effetto lirico ordinario e scontato, immergendosi senza riserve nello scavo della propria carnalità temporale per poi riemergere, con essenziale sobrietà, voce narrante; una voce narrante credibile e densa di pathos quotidiano espresso nel registro di un parlato basso, comune, linguisticamente vivo e palpitante. Milano, 23 aprile 2002 |
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NOTA SULLA POESIA DI MILO DE ANGELIS
Poesia e destino, La cesura, Le sostanze psicotrope
e la parola: i titoli dei saggi contenuti nella raccolta del 1982 rendono
più esplicito il materiale di interesse del poeta De Angelis. Un
materiale filosofico, ma ermetico, velato di occulta conoscenza; conoscenza
archetipicamente connessa al rito. E, poiché il rito originario
è ormai perduto, anche quel “sapere” ci giunge per
visione, non nel senso Rimbaudiano né Blackiano, bensì nei
termini della fenomenologia percettiva, dove la realtà degli oggetti
è indistinguibile dalla nostra idea di mente. E’ questa distanza
che crea la irregolarità del nostro respiro poetico, ossia l’oscuro
del linguaggio, l’incepparsi della narrazione, la prepotenza dei
contrasti (metafore e metonimie). Questo rigore implicito scarnifica lo
scheletro linguistico della poesia in un montaggio di versi propiziatori
e codificati. Vi sono tracce di un surrealismo post-avanguardie nella
poesia di Milo De Angelis: la poesia intesa come meccanismo della significazione
ermetica. La scrittura ricalcando un automatismo psichico e parzialmente
liberata dai modelli formali della poesia classica si agglomera in una
sintassi provocatoria come un inciampo continuo; una scrittura apparentemente
ad occhi chiusi che ricorda lo svelamento enigmatico del cadavre exquis
nelle sedute medianiche dei caffè d’avanguardia.
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Ne risulta, da questo ritmo dello sguardo perduto nella memoria, una poesia interrotta, spezzata da continui punti sospensivi e da frequenti domande aperte, non rivolte a specifici personaggi, bensì al contesto, a chi è casualmente lì in ascolto. Questo sforzo del dire, offerto alla comprensione dei nostri amori, alla fuga dalla nostra solitudine, ci risulta vano. E’ un’esperienza che pur vissuta con l’altro ci riconduce irrimediabilmente ad un soliloquio intimo e denso di straniamento del quotidiano. Impossibile dunque entrare in empatia con il mondo delle cose, con ciò che è “fuori” a noi esterno, estraneo. E finanche quando ci leghiamo nell’amore all’altro corpo questo distacco ci rende freddi, ci ammutolisce, ci stupisce come una follia autistica. E allora solo quel «vengo», quel «veniredentro» nel corpo dell’amore può ricucire, forse, questa alienazione del sentire, questo lutto del reale. Ecco perché tutto l’afflato narrativo di De Angelis assume la metafora di un lento atteso coito un chiesto e offerto orgasmo. Un “senti; ora: qui, me, la mia solitudine umana”. Così come avviene in questa poesia: L’incidente, esemplificatrice delle brevi riflessioni fin qui svolte. |
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Guardando la cinquecento Ma qui, vuoi farlo qui? |
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Milano, 29 aprile 2002 |
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UNA BREVE NOTA SULLA POESIA DI GIANCARLO MAJORINO
Fin dalla prima raccolta La capitale del nord, è evidente nella poesia di Majorino l’attenzione per il magma della lingua. Lingua intesa come corpo sociale e perciò capace di esprimere, raccontare, testimoniare le trasformazioni del soggetto nella società in cui vive. Questo corpo non è solo lessicale, ma anche metaforico di un bisogno ineludibile del luogo storico in cui l’“io esiste”, formulando le ragioni o le condizioni, le intenzioni e i valori della propria soggettività. Nella poesia di Majorino questo “io” agisce trasversalmente nel registro lirico e in quello epico. Così si legge nell’apertura della Capitale del nord: |
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O mia città vedo le porte gli archi che un tempo limitavano il tuo cauto intrecciarsi di case strade parchi oggi spezzarti come una frontiera […] |
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E poi in un frammento tratto da Lotte secondarie: |
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Addossato al muro sento il futuro. Sta già facendosi |
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La capitale del nord contiene sia la cesura che il conflitto di due condizioni e variabili: il mondo sociale, le sue leggi da una parte, e dall’altra l’io che con le sue argomentazioni e utopie è proiettato alla decostruzione e rifondazione di quelle stesse leggi. Azione questa della prassi letteraria che nei gruppi e propositi delle avanguardie non sempre si limita alla dialettica della lingua e dell’incontro, ma che in più occasioni durante la ricerca, si è dispersa in nuove ortodossie e intolleranze. Queste istanze di una storia recente del nostro tempo sono ben presenti nella raccolta poetica sopracitata da cui emerge quel materiale linguisticamente compresso, pronto a deflagrare nella dispersione e frammentazione sperimentale, e che diverrà carattere letterario globale di un intero ventennio. | ||
[…] bellissima poesia di tempi nuovi una distribuzione di fiducia/sfiducia […] fedele statica in movimento questioni oziose la Poesia non corre con l’uomo? […] |
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La capitale del nord, opera anticipatrice del nostro autore, è un testo chiave, lungimirante, che raccoglie in sé, già dal 1953, tutte queste scintille di registri diversi e li amalgama nel contenitore metaforico del corpo sociale: la città, luogo della storia e dell’io, qui inteso dialetticamente connesso all’esistenza dell’altro da sé, scevro da postulati metafisici, ma piuttosto portatore di esperienza di ripensamento e di fallibilità. |
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[…] un uomo guarda un uomo che vortica sui flipper un personale ozioso attende o spera che non venga clientela una ragazza ingoia toast con nessuno al bar da oscure vie centrali uscito e contro il vetro quell’uomo guarda me? […] |
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Così tra le maglie premonitrici
di questo poemetto urbano, dunque, già si avverte, ad un esame critico
e riflessivo quello scollamento tragico e anche violento dell’io sociale
che, isolandosi nella sfera del proprio quotidiano autocelebrativo, relegherà
poi la poesia delle avanguardie in un registro di chiusa articolazione intellettuale,
finito spesso in un vuoto gioco formale; registro profondamente impoverito
e da cui Majorino prenderà nel seguito della sua ricerca delle intelligenti
distanze poetiche. Queste scelte sociologiche, letterarie, adagiatosi nella pigrizia di modelli divenuti coattivi hanno spuntato per molti anni quelle armi della poesia che sono l’essenzialità e il luogo; condotta cieca che ha operato una dimenticanza, un oblio linguistico, facendo perdere la consapevolezza che, nell’elaborazione poetica, la forma si incarna in una specificità dell’esperienza soggetiiva di un dato tempo storico. Il tempo della poesia, dunque, è tutto nel presente, non in quanto modello di eternità, bensì espressione di conoscenza e di mutevolezza. |
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[…] gli uomini camminano veloci la donna non si lascia pitturare un giovane spaccato in tre lavori per rabbia e ricomposto in unità animali preistorici: un barbiere tenta le serve con le brillantine ho puntellato i miei frammenti con queste rovine […] |
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L’indugio nella sperimentazione
in chiave autoreferenziale ha sortito alla lunga una rinuncia della forma
artistico-letteraria e generato una fragilità di argomentazioni,
di invenzioni e di temi della poesia. Ne è seguito un indebolimento
dello sguardo poetico che ha introdotto una afasia verso il mondo delle
cose e dei fatti, come se nulla più si potesse narrare tranne la
propria crisi, il proprio “essere e nulla”; condotta oltranzista
perseguita da alcune frange neoavanguardiste, le quali sbandierando un
fragile vessillo rivoluzionario contro la società mediale contemporanea,
han diluito l’ultimo lembo di contatto con la realtà del
proprio tempo. |
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andavamo tutti come fosse un’emigrazione ma era come quando nella tundra incendiata |
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Milano, 5 maggio 2002 |
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NOTE SULLA POESIA DI GIAMPIERO NERI
La poesia di Giampiero Neri è intessuta di tracce
decantate dal ricordo. Fin dagli esordi della prima raccolta L’aspetto
occidentale del vestito, nell'apertura «[…] cosa è
stato di quei piccoli segni, neri, immagine e somiglianza di un impegno
continuo?», l'autore dichiara implicitamente la sua poetica, svela
le corde del suo versificare e il vibrare del suo animo. Neri sembra indicarci
che è impossibile afferrare “il teatro della vita”
nella sua globale mutevolezza perché fenomeno di altra natura dal
nostro pensare. Tuttavia possiamo cogliere un’occasione, l’unica,
quella dell’interpretazione parziale dei pochi segni fossilizzati
e raccolti nel nostro mondo interiore, nella psiche. Perciò, a
coerenza di tali premesse, il linguaggio poetico è uno sforzo grande
perché teso a definire comunque degli orizzonti, dei limiti, ipotesi
di cominciamento di un’esperienza che è stata cinestesica
e che in quanto lingua va decantata con lentezza, con essenzialità
fino a raggiungere un’asciutta narratività ed evocazione
poetica. Così Giampiero Neri si serve delle forme poetiche (poemetto
in prosa, brevi epigrammi) come una conseguenza dell’esercizio espressivo
della sua scrittura piuttosto che come scelta di un modello retorico della
poesia occidentale. |
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Dallo stesso luogo Come l’acqua del fiume si muove (alla memoria di Edoardo Persico) Tracce Presa fra i sassi dove si nasconde |
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I luoghi citati dall’autore non sono biografici come può apparire ad una lettura immediata e superficiale, bensì resti dell’archeologia del mondo, siti ritrovati, recuperati all’apnea del silenzio, non per essere catalogati o ordinati ma piuttosto per rivitalizzare, rigenerare lo sguardo che vede il mondo e, in quest’azione, rinsaldare il senso della propria esistenza. Lo sguardo del poeta si scioglie così nel più pacifico dei disinganni, dove il microcosmo della “Storia naturale” segna l’ironica e silenziosa rivincita sui clamori della cosidetta “Storia della civiltà”. Vincenzo Pezzella |
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