Roberto Sanesi ( Milan 1930 - 2001)
poet, essayist , literary and art critic, began his activity by working in 1951 for Aut Aut, Rivista di filosofia e cultura
founded in that year by Enzo Paci. By joining
the Movimento Nucleare in 1952 he began to be active also as art
critic. Some years later, in 1957, he made his appearance as a poet by
publishing with Guanda Il feroce equilibrio soon to be followed by several
more collections , among which:
Rapporto informativo ( Feltrinelli 1966 ), L’improvviso di
Milano ( Guanda 1969 ) , La cosa scritta ( Guanda 1977 ), La
differenza ( Garzanti 1988 ), Mercurio ( Scheiwiller 1994 ) the anthology L’incendio di Milano e altre poesie (
Book 2005 ), Il primo giorno di
primavera ( Book 2000 ). In the same year ( 1957 ) he
founded the Edizioni del Triangolo whose purpose was
to publish, relating them to one another, texts and drawings by contemporary
poets and painters, such as Patchen, Dova, Thomas, Baj, W.C. Williams, Sereni,
Dangelo, Scanavino etc. Between 1958 and 1960 he stayed repeatedly and for long periods in Southern
Wales, engaged in the translation of Yeats, Watkins and other poets, later collected in an anthology. He made friends
with many young writers and artists, such as Richards, Sutherland, Moore. In
1959 T.S. Eliot entrusted to him the translation of his poems (PoesieBompiani
1961) and the following year he was awarded the Byron Award for Europe, and he
was invited as “resident poet” to
Harvard University: though involved in the debate on Italian contemporary
poetry, he in fact turned his attention above all to Anglo-American culture, of
which he is considered one of the foremost interpreters. In the same year ( 1960 ) he founded and edited with G. Ballo
and L. Cerchi, the review Poesia e
critica and founded and edited for the publisher Guanda the series Piccola Fenice. In this period he also
begins to carry out his works of “visual weutung”, that is the “visual
rendering” of poetic thought ( “I don’t paint, I write” ) exhibiting his work both in Italy and
abroad. His interests extend to the
theatre: in 1967 together with V. Puecher and R. Pallavicini he writes, from
Shakespeare La rappresentazione per
Enrico Quinto for the Teatro Stabile of Bologna. In the years that followed
he went on working for the theatre, with La Piccola Scala (on the rhythmic adaptation of Henry James Turn of the Screw, for B. Britten’s
music ) and the Piccolo Teatro di Milano
( with the Italian version of La vita immaginaria dello spazzino Augusto G. by A. Gatti ), with the Radio Televisione
della Svizzera Italiana ( with
theatrical works of Eliot, Shakespeare, Marlowe in his own translation )
; with the libretto for the comic opera
Da capo ( Music by G. Luporini, Teatro del Giglio, Lucca, 1987), the
poetic dialogues Teatro della mente (
Quaderni di Vaciago 1990 ) and the verse drama Dialogo di Yuste (
Book 1991 ). From 1970 to 1975 he was art director of Palazzo Grassi,
Venice. He carried out an important
teaching activity, both at university level
( Universities of Parma and Verona ) and at the Accademia dell’arte (
for over thirty years he was a lecturer
at the Accademia di Brera ). He wrote art criticism for the Corriere della Sera
and for various Italian and foreign
specialized reviews . Besides his many essays on poets and artists ( D. Thomas,
T. S. Eliot, Byron, H. Moore, Sutherland, Richter, etc.) and his several
anthologies of poetry ( Poesia inglese del dopoguerra, Schwarz 1958; Poeti
americani 1900-1956, Feltrinelli 1958; Poeti inglesi del ‘900 , Bompiani
1960; Poeti metafisici inglesi del
Seicento, Guanda 1961 ) it is right to quote his translations from
Shakespeare, Blake, Shelley, Yeats, Eliot, Thomas and finally his translation
of Milton’s Paradise Lost ( Mondadori
1987; Einaudi 1992).
Il feroce equilibrio
Il personaggio nero che si stempera
nero di pece e di ferite, nero,
sotto un sole che è nero ed è rotondo
solo perché due vaste mani a conca
lo fecero impastato di bitume
e d’abbominio e di brusio d’insetti,
è un pilone di roccia e fermo muove
a un cielo giallo frantumato d’elitre,
fermo e veloce sotto un sole nero.
E poiché ciò che muove compie il corso
dall’eterno all’eterno, e ciò che è mosso
da una ferita all’altra in turbini di luce
si dispone secondo che lo spinge
ciò che lo muove, sole che trasuda
grasse costellazioni di petrolio,
l’uno muoverà sempre e l’altro sarà mosso
nel feroce equilibrio di due neri.
Da Il feroce equilibrio, Guanda 1957
Capricorno
Scoppiano rose di ghiaccio alle finestre, e una terra
incredibile e vuota invelenisce gli alberi, ora
che l’insipido odore della neve, sul vento,
corre nel grigio del mattino, e l’ora
dell’allodola è oscura, di cenere, evento
miracoloso sepolto tra i roveti e il sonno. Ma osserva:
forse più chiaro e dolce è il tempo delle mele, più chiaro
nel peso delle palpebre. Un tempo
d’osservazioni e di permutazioni, se ancora
le radici invisibili del sogno hanno scavato in me.
Nella vuota dimora in cui riposa il segno
della mia nascita, gli anni e le ragioni,
una spina di luce tenta il vertice, il vivo
vertice del risveglio. L’inverno
è la mia unica infanzia a irridere la morte.
da Poesie per Athikte, 1959 Maestri Editore
Nascita del
mattino
Abile e seducente, sulla vetta
il corvo scosse un’ala di rugiada
(era la Pentecoste) e inchiodò sopra il ramo un verme nero
con una testa a entrambi i rosei lati.
Il mattino del mondo
si pronunciò cosí, forse preconizzando il freddo
pronto a drammatizzare l’armonia che poi sarebbe scesa
anche dove marciscono le foglie, nei sentieri oscuri
dei gusci di lumaca e dei lombrichi.
Abile e seducente
precipitò dall’alto, e con le molte lingue accese un’alba
d’aeree crudeltà e di vite effimere, uccello risorto
con l’eleganza infallibile
dei martiri e dei santi ogni domenica.
da Rapporto Informativo, 1966 Feltrinelli
In direzione
dell’alba
Entra di lato un’ombra indecifrabile,
e il bianco
urta sul vuoto, si appoggia all’esperienza
dei biancospini, si apre alla pioggia, delimita
la tua stessa figura, la finestra è vento. Più oltre
si disorienta in parte per il tutto,
tortura e inumidisce fra gli occhi e il sorriso
bisbigli di paura. La diagnosi
sta sulla soglia, in una sepoltura
dell’ultimo soggetto. E viene il giorno
che si abbandonano i corvi nel ghiaccio.
da Techne, 1984 Scheiwiller
Alterego
considera lo spazio
Nulla è sicuro: la nuvola, o il segno della nuvola,
l’inafferrabile punto d’incontro, il tracciato
della matita fra un’ala e il suo battito, l’aria
che non ha luogo, la rappresentazione, ovvero
quello che avresti voluto dire, quando ti accorgi
che ti precede, e il tempo ti si attacca sulla lingua.
Apri, chiudi, riprovi…
Sicuro è l’intervallo, la sua
immediatezza muta, mutevole. Ma anche in questo caso
sempre da qualche parte senti che precipita
una specie di vuoto necessario fra il corpo e il disegno
che avevi immaginato. Se tenti di spostarlo, se credi
che l’armonia racchiuda qualche senso, allora
la relazione perfetta è il rimando. Non è
ancora stabilito se sia possibile
strisciare dentro l’aria, la posizione del corpo
risulta scomoda, non si sa mai da che parte appoggiarsi,
ma se non cadi è anche peggio.
La pietra, l’appiglio,
non ti consentono alcuna scalfittura, né il canto,
che per lo meno sarebbe un segnale, né il grido,
che ti risveglierebbe se potessi udirlo.
da La differenza, 1988 Garzanti
Per infinite
pianure
Travestito da sogno, disseminato
per infinite pianure,
perseguitato da troppi indizi per essere
capace di orientarmi, a volte immagino
di prevedere luoghi precedenti, spingendo
sempre più avanti il segnale
che definisce il campo, il fossato, il filare,
come seguendo nell’ombra che si sposta
la sferza della trebbia, il fuoco fatuo
del grano che precipita in pulviscolo. E penso
in questi casi al ritorno, essendo la pianura
un turbine di vuoto attraversato
da una sola figura, che non mi assomiglia.
da Mercurio, 1994 Scheiwiller
Senza data
Perché portare a termine
quando nessuno, in giardino,
ha mai visto il mio glicine concluso.
Se allora fosse il fiore il fallimento,
questa, diremmo, è la bellezza del mondo,
la sua esperienza visibile.
da Il primo giorno di primavera, 2000 Book Editore
Da quando
Da quando abbiamo smeso
di dire cose
e abbiamo imparato a parlare,
l’indifferenza
di una palude sommerge il progetto,
le rane si tuffano allegre
nella materia indistinta, discutono
ad altezza di suono, l’identità
tenta la superficie, ploff, la bolla d’aria
si estingue,
un verde fetido
si estende indecifrabile al canneto
che avevamo provato ad attraversare.
da Omaggio a Roberto Sanesi, 2001
catalogo di Fernanda Borio
Dagli appunti di
Keats
prima di scrivere l’ Ode a un usignolo
Sotto un prugno? Può essere. Il signor Brown
testimonia di carte. Tre o quattro. Grafia inintelligibile.
Nel pomeriggio di Hampstead una nuvola
scioglie una primavera acquatile di suoni.
Driade. Luscinius. Un volo orizzontale, uno stacco
fermo improvviso dove i rami piegano
ad incrociare le ombre. Jug. TWIG.
Twig. Twig twig twig. Jug. Ripetilo.
Vedo aleggiare dai rami un incenso
pendulo. TWIG. Le note trasudano inganni
e lungo il muro di cinta un colore
con sfumature giallastre di cadavere.
Cara,
sul cucchiaino da tè s’assopisce una mosca,
sull’orlo della tazza un diavolo elegante
torce le falde come un becco a gas. E questa,
come la interpretiamo, mastro Vellum? Stendardi.
Dare un’occhiata all’Enciclopedia Britannica. E poi,
due ore di posa da Severn. Mi piacerebbe sapere
se la signora S. continua a tagliare
fette di pane e burro con tanta precisione. Ecco, ora
posso perfino vederlo. Sarebbe meglio prendere un rasoio
per castrare dei versi come questi. (diciamo
recidere, si addice
meglio
al mio profilo: National Portrait Gallery). S’intende,
solo ai poeti falliti. Da Margate. Migratore.
Pentapodie giambiche e penne timoniere, aste
e barbe, calugine, sprone, caruncola, becco
sottile a forma conica, sterno, e le sacche
d’aria in un requiem che si muta in zolla. Luscinius.
Ho pensato alla morte troppe volte, ma in fondo
forse ha ragione il vecchio Coly. È solo un’idea fissa.
“Questi rauchi e spiumati usignoli del tempo”, ecc.
Le piume remiganti a precipizio. Seduto. Portò sotto il prugno
la sedia dal tinello. Tre ore. Attraverso le stampe
del Vivarès e del Wollett la luce
gioca sulle finestre di Claudio Lorenese. E poi,
mise i fogli in un libro con aria noncurante. Bene,
dirà così. TWIG. Veramente ossessivo, felice. Peccato
che non sia ancora il crepuscolo. Twig.
Oh svanire lontano, dissolvermi, dimenticare del tutto
quel che non hai conosciuto tra le foglie, la febbre,
l’ansia e il languore, e la paralisi che
scuote i capelli. È possibile
attraverso le risa vedere la morte? La luce
ora si piega verso l’altra ala
di Wentworth Place, la lamentosa antifona svanisce
in direzione di Margate. Migratore. Dovrei
scrivere a Fanny.
Io non dipingo, scrivo. E
tuttavia da anni, scrivendo, mi sono reso conto che la scrittura, come in una
specie di palinsesto in cui non vi sia nulla da cancellare, accumulandosi
secondo la direzione del pensiero, non della convinzione (orizzontale) dello
scrivere, andava assumendo forme che non solo non erano separate, né
separabili, dal “senso”: ma piuttosto lo integravano, lo spostavano variandolo,
lo dilatavano, perfino lo irritavano, evidenziando
il meccanismo stesso del comporre, il meccanismo del pensiero.
Nella sua restituzione visuale,la forma ha cominciato ad attrarmi non come fatto di superficie,
cosa che può
accadere, in letteratura, quando non si abbia la capacità di controllare la
forza creativa dal suo interno, ma come metafora immediata, diretta, del
costruirsi labirintico, contradditorio, circolare del pensiero. Ciò che intendo
non consiste dunque in un far discendere il senso, ma in un innalzare insieme
l’iscrizione, quasi un gesto, sapendo che lo scrivere non è semplicemente
comunicare, trasporre o tradurre, qualcosa che esisterebbe a priori nello scrivente, ma seguire, attrarre, distrarre, dislocare,
cancellare, riprendere, eccetera ciò che potremmo definire forse un materiale
informe che si chiarisce, si compone, nel suo stesso farsi, durante, fino a un risultato che è solo
una scelta, tanto casuale quanto soggettiva, fra altre scelte possibili…
Roberto Sanesi
Dal dépliant di
Convegno e mostra Roberto Sanesi
(1930 - 2001) , Biblioteca Salita dei Frati, Lugano, 2004
Roberto
Sanesi è un poeta noto per la ricerca di una linea che porta nel clima
culturale italiano l’ascendenza anglo-sassone; ha tradotto da Shakespeare a
Milton, da Eliot a Dylan Thomas.
Ma
soprattutto nella sua attività poetica ha sviluppato in modo nuovo una
relazione di pensiero razionale e di impulsi irrazionali in modo non
appariscente, segreto, perché Sanesi ama la discrezione e la misura.
Meno nota,
malgrado le tante apparizioni, è la sua attività di poeta visivo.(…) (Sanesi )
è incline a intendere l’attività visiva come un’estensione della sua stessa
pratica poetica.
La sua
scrittura, in cui si concreta la ricerca visiva di poeta, si apre continuamente
verso bivi imprevedibili: e denuncia l’ambiguità del linguaggio, nei diversi
livelli. È un’ambiguità che nasce dal
rapporto tra segno e significato, tra segno e codice, e si sviluppa per
mostrare la forma del significante senza perdere il significato ma mettendo il
significato sempre in forse: una forma che nasce dal testo e non è imitativa
del testo, anzi ne sposta le possibilità espressive: si vede il testo e la sua
stessa virtualità. (…)
In queste
opere Sanesi continua a scrivere: scrive a colori, perché il colore aggiunge un
altro piano di
lettura (…) ottiene nuovi effetti
poetici: la poesia supera il suono senza annullarlo come presenza
e si attesta sul segno quale variante
pittorica.
È in sostanza
un altro passo avanti verso l’integrazione delle arti.
Guido Ballo
dal catalogo Roberto Sanesi,
Galleria Annunciata, Milano, 1992