Adriano Spatola
L’ ebreo negro
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i passanti, scuri e bassi, pesanti: avvolti nel fazzoletto sopra la faccia come brucia e fa fumo nero e denso l’erba del nuovamente fiorito giardino dentro nel quale giocava la fanciulla la signora che scivola nel vento tenendo ben fissa con la mano la testa da poco rifatta perché una raffica più forte delle altre non la mandi a rotolare nel centro della piazza signora salomé domandi al padre tuo soltanto la tua testa
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tenendoci per mano intorno al carro armato dal quale siamo nati noi danziamo vedendomi alla fine salire, arrampicarmi, verso la corda tesa sopra lo spazio scimmia con la tuta lassù danzare protetto da una rete che formano in- trecciate le dita di quelli che stanno di sotto e uno col piattello fare il giro, raccogliere monete che cosa posso fare in questo meccanismo mescolando il mio tempo in senso verticale tenendo lontane da me le pagine del libro dei morti: iscrizioni, souvenirs, che rileggo la sera ma la distruzione da un pezzo s’è compiuta: adesso, venire con me, chi- narsi, guardare, toccare con le dita, pelle screpolata seduti al tavolino a prendere il caffè per consultare i giornali: pioggia che batte sui tetti delle automobili in sosta perfettamente tranquillo, seduto nel posto a me riservato, senza possibili errori, nel posto da me prenotato gonfio relitto, carogna della nave dai pesci smantellata e dentro la bacheca si dispongono in un ordine nuovo i vermi antichi: i cui corsi e ricorsi van seguiti
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di dirlo con i fiori lo sapevano da quando da dentro le fosse comuni li spingevano fuori soffice tappeto dai mille colori, colonie di vermi, truppe in movimento verso il fronte albero nato proprio nel mezzo: sopra la rete, dita intrecciate di quelli che stanno lì sotto orfeo! gli dice uno, erfeo! gridando, efreo! battendogli la faccia con i piedi, ebreo! gli dice allora: "canta!" canta! risveglia questi morti e tra le fronde il vento, aria condizionata, deodorante vaporizzato nella stanza da letto e sopra la rete eccomi danzo, canto, suono la cetra: scimmia dentro la tuta, tuta gonfia di vento, vescica di porco ed eccomi autocarro, puntando deciso verso il largo, vele spiegate: sasso deciso ad affogare vescica di porco gonfiata da gas cadaverici, un giorno già piena di strutto
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sigillatemi il naso, mettetemi i piombi alle orecchie, chiudetemi il buco del culo, cemento dentro la bocca portarmi ad occhi aperti attraverso la città illuminata (alberi intorno, nessuno per la strada) poi, subito, a destra: violento carnevale questi che corrono zoppi incontro ai vuoti tassí dimenando le banconote scivolando via vuoti i tassí senza fermarsi questi che dalle nicchie tolgono gli imbalsamati amorini fogne in continua vomitazione, liquido nero dentro le scarpe
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inutile distruggere le carte, inutile bruciare i documenti vengono fuori in processione, cauti e pazienti, nascosti dentro cenciose divise mani sporche di terra, tasche sventrate e un suono di violini li accompagna tutti al tram, per prendere l’ultima corsa stipateli! stipateli! bloccare i finestrini, mettere i piombi alle porte vettura che viaggia per la città di giorno e di notte, rumore riconoscibile, tram claudicante
da "L’ebreo negro", ed. Scheiwiller, Milano 1966 copyright Riccardo Spatola e Biancamaria Bonazzi Spatola
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