Emilio Villa

da: E. Villa, Oramai, 1947

 

Dichiarazioni del soldato morto 

 
La guerra è là sull'orlo di finire, 
e fui soldato, pigro di patria, 
maschio, mite di sentimenti, 
mi sono comportato poco, anzi niente, 
una minuta recluta da niente, una frasca, 
minuta recluta esclusa da pietà, se tu consideri 
pietà, odio, e patria non essere in natura: 

però nel luglio liquido seguivo 
col corpo a rondinella tesa 
che rada fosco laminato di smeraldo 
e arancio, 

un lunghissimo esercito di folli leghe 
marcianti su un settore di chilometri scarsi; 

ero impiegato straripante di solitudine 
nel giuoco indiavolato delle furerie, 
parapiglia di alluminio a ogni rancio; 

e già per segreltissimo scrutinio lo sapevo, 
chi non cura la canna, e non la tira 
a pomice, interamente a specchio, 
e chi non cura la bandiera sensitiva 
nel fodero di seta; 

i plotoni a fiumana dentro quattro mura, 
il reggimento dentro un guscio d'uovo, 
o dentro i secchi; 

colonne di registri, bagagli di intendenze, 
e le camorre al ciclostilo, e le matricole 
di zinco gelato tintinnando 

sull'ossa dello sterno, e chi non sfrutta 
ogni fil d'erba sul terreno frale, chi non riesce 
a rompersi uno stinco nel cadere, 
o l'osso del collo, che soldato sei? 

Mi mettevo in un cantone della stanza di picchetto, 
tra la muffa, a scuro, a leggere il giornale 
all'incontrario, sempre con una fretta irragionevole. 

"Uomo da niente, recluta senza 
seme e numero" gridavo al filo del telefono 
da campo, "così come sono 

perdetemi di forza, ma salvatemi, 
consideratemi nel nerbo dei pochi, 
un numero segreto, senza scampo, 
non cresciuto, ma salvatemi 
le penne, e io ci sto! Anch'io 

ho lavato il corredo, 
il grasso della gavetta, 
come tutti, in fondo alla vasca... 

E voglio un esercito gentile, un'arma 
sana, per tagliar fuori il Po 
con una sega in tanti pezzi, colonnello! 
quanti sarebbero i coperti sulla mensa 
ufficiali, o nelle stalle, qualche istante 
prima della battaglia che non scocca! 

Piove. Piove senza rimedio. Storna, 
ah, storna da me, gentile colonnello, 
questi pensieri coraggiosi... 

e in ogni crepa d'arido un fringuello 
in gabbia, con foglie di lattuga 
a volontà perché si nutra prima della fuga 

e in ogni lista di sabbia una matricola 
fosforescente di fucile, un mortaio 
da I4I che spari sotto l'acqua 

e spari lune; un bersagliere 
con di molta scabbia. 

Siamo nel pieno della nostra cosa, 
siamo nel giusto della nostra usanza, 
siamo in guerra, in pianto, nell'errore, 

ho ancora carità abbastanza che ci vuole 
per ripensarmi uomo, per sentirmi in posa 
dipinto sull'attenti e gli occhi all'infinito, 
per chiamarmi vinto. Vinto." 

Ciò detto confermato e sottoscritto per esteso, 
credevo allora d'essere sincero, 
perfetto, esaurito, e finalmente 
fermo in un attenti che non veda 
più terreni accidentati o panorami o aria 

grigia, o il polso ancora morbido, commisto 
alla figura dritta come un legno 
vivente di una sola tarma, 
una ramazza smessa per disuso, 

e allora: "Signor colonnello 
dei miei stivali, io vorrei 
permesso per andare libero alla caccia 
di lepri, di lumache, di gazzelle, 
d'api, con la faccia, qui nei dintorni, 
tra gli abeti che seminano il bello, 
l'umido e la penombra... 

Io vorrei darmi in braccia, a una grande primavera 
teutonica, a pie' dei lecci: o lupo 
di favola, o lupo di convento 
o di ringhiera o di trincea, orinare 
controvento nel dirupo, questa è la vera, 
questa è la sola naia; poi morire 
con la morte in cuore e con il cuore in gola."

 

 

da: E. Villa, Diciassette variazioni su temi proposti per una pura ideologia fonetica, 1955

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da: E. Villa, 12 Sibyllae, Castelvetro Piacentino, 1995

 

 

 

da: E. Villa, Zodiaco, Roma, 2000

 

 

 

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