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Patrizia Vicinelli a cura di Maurizio Spatola
Pubblicate a sprazzi in riviste underground o in plaquettes di scarsa diffusione, a parte una incompleta antologia pubblicata tre anni dopo la morte da Scheiwiller a cura di Renato Pedio, tutte le opere di Patrizia Vicinelli, compresi molti inediti, sono state raccolte nel 2009 in un ponderoso volume pubblicato dall’editore Le Lettere di Firenze, nella collana “Fuori Formato” affidata a Andrea Cortellessa. Il titolo di questa edizione pressoché completa degli scritti in versi, in prosa e delle poesie visuali di Patrizia, Non sempre ricordano, ripropone quello del “poema epico” pubblicato nel 1985 a Parma dalla piccola casa editrice Ælia Lælia fondata con altri da Daniela Rossi che ha curato il dvd, allegato al libro del 2009, che raccoglie quasi tutto il materiale video sonoro esistente sulla Vicinelli. Il libro è stato curato con molta attenzione da Cecilia Bello Minciacchi, autrice di una delle due introduzioni; la seconda è firmata dalla stessa Niva Lorenzini, docente di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università di Bologna, che aveva già introdotto l’edizione scheiwilleriana. Per ragioni di spazio non è possibile riprodurre qui l’una o l’altra di queste introduzioni, ripiegando sulla prefazione, più breve e molto partecipata, scritta da Francesco Leonetti per l’edizione Ælia Lælia di Non sempre ricordano (leggibile a seguito della breve nota biografica). Oltre a sei poesie visuali apparse in epoche diverse in quattro differenti pubblicazioni (il suo libro à,a.A, edito da Lerici nel 1967, il catalogo della mostra Scrittura visuale in Italia 1912-1972 allestita alla GAM di Torino a cura di Luigi Ballerini, l’antologia C/O pubblicata nel 1984 a cura di Franco Beltrametti e della stessa Vicinelli, il numero 71 della rivista “Doc(k)s” uscito nel 1985 a cura di Julien Blaine), la nostra scheda comprende il testo della voce a lei dedicata nell’Autodizionario degli scrittori italiani pubblicato nel 1989 da Leonardo, a cura di Felice Piemontese: un testo autoironico, scritto da Patrizia in terza persona, a perfetta imitazione di una voce enciclopedica, con un finale struggente in cui, circa due anni prima di morire, la poetessa bolognese si prospetta “un futuro sicuramente radioso”.
nota biografica Patrizia Vicinelli nasce nel 1943 a Bologna, dove muore il 9 gennaio 1991. Negli anni Sessanta collabora con Aldo Braibanti ed Emilio Villa. Entra a far parte del Gruppo 63 al convegno di La Spezia del 1966. Collabora a riviste come “Ex”, “Quindici”, “Che fare”, “Marcatré” e “Alfabeta”. La sua poesia visiva (raccolta parzialmente in à, à. A, Lerici 1967 – vedi www.archiviomauriziospatola.com sezione Audiovideopoetry) è stata esposta in tutto il mondo, da Milano a New York, da Tokio a Venezia e San Francisco; la sua poesia fonetica e sonora si ascolta in varie registrazioni. Come attrice partecipa anche a diversi film d’avanguardia, di artisti come Alberto Grifi e Gianni Castagnoli. I suoi ultimi libri sono Aphoteosys of schizzici woman (Tau/ma 1979) e il poemetto Non sempre ricordano (AElia Laelia 1986). Una precedente antologia di Opere, a cura di Renato Pedio, era uscita presso Scheiwiller nel 1994.
foto di Alberto Grifi
I canti struggenti e "selvaggi" della Vicinelli seconda da dove vengono? Si può anzitutto azzardarsi a dire che vengono da Campana, che dei vociani o espressionisti italiani è il più sconnesso a livello semantico e sintattico, e il più iterativo (in quanto Jahier ha una ritmica più cantata, oppure pedante, che iterativa). E il più sublime. Ma le parentele nel filo secolare sono complicate e incertissime. Consideriamo ora l'autore. Si sa che fra l'autore e il personaggio biografico intercorrono rapporti strani, sia secondo i buoni materialisti engelsiani sia secondo i maestri semiotici oggi viventi. Ora, il personaggio biografico, biologico e vitale, di Patrizia Vicinelli bellissima donna si presenta insieme virtuoso e vizioso: erede del famoso Gruppo 63 storico italiano, o pupilla e prima dilapidatrice, superba allora e ricorrente alla genealogia di Emilio Villa (che invece è piuttosto artista, con grafica stratificata e di totale disseminazione, lei no) sembra quindi buttarsi via. Va a perdifiato, a perdizione, a scommessa, a capitombolo, a pura fuga, nelle passioni sfrenate che si svolgono alla fine del decennio. Spariscono o restano sospesi, così, patrimonio passato, i suoi giochi linguistici indovinati e anche tipografici (presso Lerici nel '67, datati da prima, con varie formulazioni iniziali della lettera "a " come in un vocalizzo della Berberian Berio, assoluto) e lei si trascura tanto da dovere essere presa su col cucchiaio... Ricordi di amici. Ricompare in scena ogni tanto con buonissime prestazioni di attrice, come le sue stesse vitali, forse. Già con Braibanti a provocare i giusti scandali. Poi con Alberto Grifi, asso del film d'avanguardia e con Gianni Castagnoli che è il primo a trattare una nuova macchina (fotocopiatrice Xerox) come strumento per l'invenzione artistica. Compie operazioni di quadri (oltre che sbavare righi e disegni sulle sue scritture, mescolando tutto e graffiando, come se lei fosse la figlia di Emilio Villa, che invece ha un figlio fisico teorico, e ciò non è - nonostante Serres - la stessa cosa). Quello che ha regalato a me è un quadro con sovrapposizioni di moduli puri a una lastra forata da buchi e inglobante forme d'insetti schiacciati fra lastre: una partenza molto interessante. E dunque, e dunque? Se, dico, dal saussurismo spinto del '63, per la via delle passioni sfrenate e riempitive, allegoriche e allucinanti, giunge a queste nuove e tre volte elaborate poesie lunghe epicizzanti, si deve forse dire che rappresenta un'evoluzione propriamente linguistica di ampliamento del timbro e dell' "urlo ", decisiva oggi. E ne è portatrice letteraria e insieme generazionale unica. Infatti, o si sono buttati, questi giovani sessanta-settantenni, nel fuoco; o si sono impreziositi nauseantemente nelle poesie. Lei, la traversante e pericolosa Patrizia, con impatto dolce furibondo nella sua dissoluzione del territorio bolognese dove cresce, è la sola a fare tutte e due le cose, mischiandole, con sovrano imbroglio. Ora, sul suo galoppante ritmo, a balzi immondi, abissi e profumi, riesce a far emergere soggetti umani veramente incredibili, incarnazioni di lei stessa vaticinante, sconfessante e in atto di vibrare la sua spada di samurai. Io, si può dire, sono come un tale che dice: "Benedetta figlia, - io che ti ho conosciuta a Porta Portese, - le tue motivazioni più intime le conosco, - e so cosa ti muove (...) " Francesco Leonetti (da Non sempre ricordano, Ælia Lælia Edizioni, Parma 1985)
Patrizia Vicinelli
Famosa scrittrice nata negli anni Quaranta, manca di epistemologi decenti. Assai nota come lettrice dei testi da lei stessa scritti, nota come donna di grande fascino (tra i suoi amanti Nanni Cagnone – scrittore, Alberto Grifi – cineasta, Gianni Michelagnoli – mercante d'arte nonché padre della primogenita Anastasia, e da quindici anni Gianni Castagnoli – artista tuttofare, nonché padre del secondogenito Giò, ecc.), mancano su di lei note di rilievo culturale in grado di simbiotizzare la sua strana dicotomia creativa, riassunta nell'assioma "vita uguale opera". Questo assunto, molto difficile da ipotizzare negli anni Sessanta – anni in cui la nostra cominciò ad operare e ad essere riconosciuta dalle fonti ufficiali del pensiero d'avanguardia attraverso il Gruppo 63, e prima con la rivista «EX» di Emilio Villa – è stato a lungo combattuto in modo anche feroce da teorici della scrittura quali Antonio Porta, Guglielmi il critico, Giuliani lo scrittore e altri che preferisce non nominare, dato che, per la produzione della Vicinelli degli anni Sessanta, fanno riferimento ai Calligrammes di Apollinare, e, quando vanno al massimo, ai "futuristi". Scrittori emergenti come Gianni Celati e lo stesso Francesco Leonetti introduttore del suo Non sempre ricordano, parlano di grandi capacità interpretative, per quanto Leonetti faccia riferimento anche a Campana. Una esecutrice-attrice con doti straordinarie di coinvolgimento del pubblico, e qualsiasi giudizio di valore viene rimandato. È che si rifiuta di riconoscere una parte integrante dell'uomo, quella del darsi. E farlo di fronte a chiunque, lo può fare solo colui che ne acquista diritto per il suo background di vita. Non si vanta delle sue molteplici esperienze, a lei piace così, ma ama raccontare quelle che lei chiama le sue avventure, come farebbe un vecchio esploratore che racconta al child, magari ai children, le sue avventure da giovane. Ma è tendenza per la vita, non qualcosa che riguarda la gioventù, come si potesse smettere di essere quello che si è, a un certo punto. Così è bello vedere inchiodate le persone a un tavolo e seguire i racconti della Vicinelli sulla prigione, sulle rivolte, sugli aborti, sugli amori, sulla persecuzione poliziesca, sulla lunga droga, durante la quale la figlia Anastasia ha avuto grande rilievo per la definitiva presa di coscienza e "resa" di fronte a una realtà estremamente dura e persecutoria. Vive coi soldi dei due padri dei rispettivi figli, perché si è sempre rifiutata di fare qualsiasi cosa. Chissà perché. Naturalmente ha pubblicato libri, sempre senza alcun compenso, salvo le 50.000 di allora di Lerici (a,à.A,, 1967), nulla da Tau/ma (Parmiggiani e Diacono), nulla dal Poema epico. Mostre di poesia visiva ovunque e dischi di poesia fonetica
e sonora. Molto complessa esistenzialmente la sua vita, è sempre o quasi
di ottimo umore e molto fiduciosa in un futuro che si prospetta sicuramente
radioso.
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